L’imponente gruppo, posto dal Settecento in una posizione di grande visibilità nel salone d’ingresso, raffigura il giovane eroe Marco Curzio che si getta con il suo cavallo in una voragine apertasi nel foro per salvare con il proprio sacrificio la città di Roma.
L’opera è frutto di un restauro integrativo condotto all’inizio del XVII secolo su un cavallo di provenienza archeologica. A seguito di una lettura incrociata della documentazione conservatasi, l’artefice di tale ardito intervento, che si caratterizza per l’accentuata dinamicità, è stato identificato nello scultore Pietro Bernini.
Il rilievo antico, raffigurante un cavallo, proviene dagli scavi eseguiti a Villa Adriana a Tivoli a metà del Cinquecento, così come riportano Pirro Ligorio e Ulisse Aldrovandi. La presenza di tracce di un secondo animale, emerse durante gli interventi di restauro della lastra, porta a ipotizzare che si trattasse, in origine, di una composizione più ampia.
Il gruppo borghese è composto di due parti di differente provenienza e datazione: un reperto antico, costituito dal cavallo, e il cavaliere, realizzato nel XVII secolo nel corso di un restauro integrativo che consentì il reimpiego del reperto nella creazione di un’opera nuova.
Del rilievo antico si conserva, parzialmente, una lastra ritraente la figura di un cavallo. L’opera fu rinvenuta durante gli scavi intrapresi nella metà del Cinquecento nella valle di Tempe presso Villa Adriana a Tivoli (Baldassarri 1989, pp. 85-87, n. 37; Paribeni 1994, pp.25-26).Rodolfo Lanciani, nel 1909, attribuisce la scoperta a Marcantonio Palosi (o Paloso), magistrato di grande reputazione, operante sotto il pontificato di Papa Paolo III e del suo successore Giulio III (Lanciani 1909, pp. 136-139, fig. a p.140). Lo stesso autore riferisce, nel 1903, le testimonianze di quell’epoca (Lanciani 1903, p. 112). Pirro Ligorio, al servizio del cardinale Ippolito II d’Este, governatore di Tivoli dal 1549 al 1572, attesta nelle parole del Lanciani che “furono trovati, fra altri marmi, certi frammenti di cavalli, fra i quali uno quasi intero col giogo al collo in atto di cadere, che, trasferito a Roma, fu collocato nel Portico della casa di Marcoantonio Paloso alla Dogana”(Ligorio 1556-1569, Cod.Vat. Lat. 5295, f.30). Ulisse Aldrovandi, antiquario bolognese, riporta che “in casa di M.Antonio Paloso alla Dogana nel muro della loggia della corte si vede di mezzo rilievo un bellissimo cavallo, che pare inciampando cada; è lavoro meraviglioso, e degno, e ritrovato pochi dì a dietro in Tiburi” (Aldrovandi 1556, p.189). Agostino Penna nel 1836 fu il primo ad accostare queste testimonianze alla scultura Borghese (Penna 1836, tav. XXXIX). Del rilievo rimane gran parte della figura del cavallo: nella zona inferiore, l’avantreno, il ventre e le zampe con il particolare della correggia, la fibbia e le redini sul collo; in quella superiore, il collo e la testa (tranne il muso) e un breve tratto della lastra sopra il dorso. A una attenta disamina sono visibili le tracce di tre attacchi, accanto alle zampe, non funzionali al gruppo attuale e sul dorso un breve tratto della lastra, elementi che inducono a ipotizzare la presenza di una seconda figura di cavallo. Questo particolare fu probabilmente individuato già da Ennio Quirino Visconti, il quale, nel 1796, osservava ”I vestigj di un altro cavallo rovesciato, che esistevano già nel campo del monumento, e dal suo restauro furono scancellati, dimostrano, che questo bassorilievo non è che un frammento di qualche grandiosa composizione” (Visconti, Lamberti 1796, pp.29-30, n.18). Adolfo Venturi, dello stesso pensiero, affermava nel 1893 che il frammento fosse pertinente alla raffigurazione di una biga antica (Venturi 1893, p.14). A seguito dell’imponente restauro seicentesco la figura dell’animale risulta ruotata di quasi novanta gradi, perdendo l’originaria posizione rampante e fornendo in tal modo la percezione visiva di una caduta. Basandosi sulla valida ipotesi che si tratti di una lastra raffigurante una composizione più articolata, un pertinente confronto si può stabilire con un rilievo, raffigurante una biga, conservato presso le Gallerie degli Uffizi (Mansuelli 1958, p.38, n.12).
Giulia Ciccarello
Il giovane cavaliere indossa una lorica terminante con pteryges a linguetta e scagliate, da cui fuoriescono corte maniche frangiate, ai piedi ha lunghi calzari che lasciano le dita dei piedi scoperte. La testa è protetta da un elmo, che riproduce le forme di un morione con pennacchio, simile a quello indossato dalle guardie svizzere. Le braccia sono protese in avanti a sottolineare l’azione della caduta.
Il soggetto dell’opera è Marco Curzio che si getta nella voragine, un episodio che secondo la tradizione romana sarebbe avvenuto nel 362 a.C.: il valoroso giovane si sarebbe gettato in una voragine apertasi nel Foro per offrire la propria vita in cambio della salvezza della città. Il fatto era infatti presagio di sventura, che poteva essere scongiurata solo gettando nella voragine il bene più prezioso per i cittadini romani: Marco Curzio, valoroso guerriero, offrì dunque il proprio coraggio, gettandovi sé stesso. L’episodio, funzionale alla celebrazione di tale valore e dello spirito di sacrificio, era stato scelto al momento dell’integrazione del cavallo antico con l’intento di ricordare l’abnegazione mostrata da Scipione Borghese nel 1606, quando, a dorso di un mulo, aveva percorso le vie della città offrendo beni di conforto alla popolazione romana colpita dalla piena del Tevere. Tale accostamento fra le due figure era stato oggetto anche di alcuni versi encomiastici scritti qualche anno prima dal poeta Scipione Francucci in onore del cardinale.
Menzionato per la prima volta nel 1648 da Raymond (pp. 94-95), che lo ricorda esposto all’esterno della Villa Pinciana, il gruppo è localizzato con maggiore precisione dal Manilli, che lo descrive al centro della facciata meridionale, tra secondo e terzo piano (1650, p. 48). La scultura rimase in tale posizione fino al 1777, quando l’architetto Antonio Asprucci, durante i lavori di decorazione dell'interno della villa, decise di collocarla nel salone d'ingresso, sulla parete opposta alla porta, dove risulta sistemata sicuramente dal settembre 1779 (Herbert 1939, p. 276). La scelta della collocazione rispondeva a un intento celebrativo del casato – in funzione di Speculum principis per l’erede Camillo nato nel 1775 –, che trovava completamento nella volta del salone in cui il pittore Mariano Rossi aveva raffigurato un altro eroe romano, Marco Furio Camillo (Paul 1992, pp. 317-318).
Frequentemente descritto nelle guide tra XVII e XVIII secolo, il gruppo fu ritenuto da alcuni completamente antico (de’ Ficoroni 1744, p. 73, lo voleva reintegrato in epoca imperiale) e probabilmente rinvenuto presso il luogo dove avvenne il fatto (Northall 1766, p. 352). Nel 1793 Bottari annotava l’opera tra i pezzi antichi (Titi 1987, I, p. 229) mentre tre anni dopo Visconti affermava che il cavaliere era stato aggiunto in epoca moderna al cavallo antico (I, pp. 28-29, n. 18), affermazione fatta propria in seguito dal Nibby (1832, p. 38).
Nel 1967 D’Onofrio ha identificato l’opera con il cavallo antico per il cui restauro Pietro Bernini fu pagato 150 scudi nel 1617 (pp. 255-258). L’intervento integrativo condotto dallo scultore colpisce per il suo carattere rivoluzionario: non solo la figura assume una volumetria che la pone a metà strada tra altorilievo e scultura a tutto tondo, ma, nell’atto di cadere verso il basso, si protende all’esterno della parete, con un effetto di movimento del tutto innovativo nell’ambito del restauro dell’antico (Pierguidi 2015, p. 62).
Nel secolo successivo il gruppo fu sottoposto a due interventi di restauro, il primo nel 1763 ad opera di Cosimo Fancelli, che risulta essere stato pagato per tale lavoro pochi baiocchi (Acetelli 2011, p. 418). Nel 1777, quando il Marco Curzio venne spostato all’interno della Villa, Agostino Penna fu pagato 270 scudi per un secondo intervento, che dovette consistere principalmente in un ripristino, attraverso la pulitura delle incrostazioni e l’integrazione di frammenti mancanti, dell’aspetto originario alterato dalla lunga esposizione agli agenti atmosferici (Pierguidi 2015, p. 62, Guerrieri Borsoi 2001, pp. 146-147).
Sonja Felici