Il dipinto è citato nella collezione a partire da un documento del 1613. Già ritenuta della mano di Tiziano, la tela è in realtà opera di un seguace di Bonifacio de’ Pitati. Nella composizione sono presenti caratteristici toni narrativi, desunti dalla pittura di cassoni e da suggestioni nordiche, verosimilmente assorbite attraverso il mezzo della grafica. Nell’uomo rivestito di corazza, presente nel gruppo sulla destra, si può ritrovare una citazione testuale dalla Pala di Castelfranco Veneto di Giorgione.
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza III, n. 4); Inventario 1700, Stanza III, n. 38; Inventario 1790, Stanza III, n. 38; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 23. Acquisto dello Stato, 1902.
L’opera è identificabile con “il quadro dell’Adultera alto pmi 7 largo 10” per il quale Annibale Durante eseguiva una cornice nel 1613 (Della Pergola 1955), risultando accertabile in collezione Borghese a partire da questo momento.
Nell’inventario del 1693, in quelli del 1700 e del 1790, nonché nella guida di Pietro Rossini (ed. 1750), il dipinto compare sempre con un riferimento a Tiziano. L’Inventario Fidecommissario del 1833 lo indica come di scuola veneziana, mentre Morelli (1897) lo attribuiva a Bonifacio de’ Pitati. Tale proposta è stata rifiutata da Venturi (1893) e da Longhi (1928), il quale tuttavia la giudicava opera di un imitatore del pittore veronese “sotto l’influsso della grafia nordica”. Il parere di Longhi è stato accolto da Della Pergola (1955), la quale identificava l’Adultera nell’inventario del 1693 (1964).
Come già notato da Venturi, la figura di San Giorgio in armatura deriva dalla Pala di Castelfranco di Giorgione. L’ignoto seguace del de’ Pitati trae evidentemente spunto da modelli del maestro quali Il Cristo e l’Adultera della Pinacoteca di Brera (inv.gen.213) e la più tarda versione della Gemäldegalerie di Berlino (inv. 200), datate da Cottrell e Humfrey rispettivamente intorno al 1539-1542 e nel 1552 (Cottrell, Humfrey 2021, p. 373, cat. 111 e p. 408, cat. 180). L’artista ne rielabora il taglio compositivo orizzontale e l’ambientazione ispirata all’architettura classica, riproponendo una nuova versione del soggetto religioso, assai diffuso nella pittura veneta della prima metà del Cinquecento.
Elisa Martini