Il dipinto è documentato in collezione Borghese sin dal 1650. Il soggetto, che diviene un tema iconografico di grande fortuna nel corso dei secoli XVI e XVII, è tratto dal leggendario episodio della storia romana di cui è protagonista Lucrezia, moglie virtuosa di Collatino. Oltraggiata dal figlio di Tarquinio il Superbo, la nobildonna preferisce uccidersi, causando così l’insurrezione dei romani e la cacciata dei tiranni. Nell’opera, di cui si conoscono altre versioni, l’artista aggiorna attraverso lo straordinario cromatismo di Tiziano la sua formazione pittorica desunta dai modelli di Bellini e Giorgione.
Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650, p. 109; Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza II, n. 88); Inventario Fidecommissario 1833, p. 19. Acquisto dello Stato, 1902.
Ricordato nel 1650 da Iacomo Manilli, che lo assegnava erroneamente a Tiziano, il dipinto è citato nell’inventario della collezione Borghese del 1693 sempre come opera di Tiziano (Della Pergola 1964, p. 224). Il riferimento al Vecellio viene riportato nell’inventario Fidecommissario del 1833, mentre Piancastelli (1891) lo elencava più genericamente come “scuola veneta”. Fu debitamente restituito a Palma il Vecchio da Morelli (1897) con una datazione intorno al 1510-1514. L’ascrizione al pittore e la collocazione nella fase giovanile della sua attività furono accolti dalla critica successiva, ad eccezione di Berenson (1906, p. 119), che la considerava opera eseguita in età matura, e di Gombosi (1937), il quale proponeva una datazione verso il 1520. Della Pergola (1955, p. 125) ne escludeva un’esecuzione posteriore al 1515 indicandola, tra le varie repliche del soggetto, come “non […] tra le migliori”. Mariacher (1968; 1975) collocava il dipinto dopo le Tre sorelle di Dresda, spingendo la datazione al 1518-1520, seguito da Rylands (1988), che la datava nella seconda metà degli anni Venti parlando di “mechanical execution” e suggerendo un intervento della bottega. Coliva (1994) la considerava databile verso il 1510. Più di recente Savy (2013) ne ha evidenziato la derivazione da modelli tizianeschi quali ad esempio la Vanità presso l’Alte Pinakothek di Monaco e Belotti (2015, p. 132) l’ha inserita tra le opere appartenenti alla fase matura, datandola al 1525-1528.
L’opera raffigura la matrona romana Lucrezia, moglie di Tarquinio Collatino, che scelse di suicidarsi per sottrarsi al disonore dopo aver subito violenza da Tarquinio il Superbo. La giovane donna tiene in pugno l’arma con cui porrà fine alla propria vita e fissa lo spettatore con un’espressione pacata che neutralizza il dramma dell’episodio. L’opera rientra in un filone inaugurato da Tiziano e divenuto assai di moda, ovvero quello della rappresentazione di figure femminili a mezzo busto, talvolta identificabili per l’attributo che le accompagna, accomunate da fattezze fisiche rispondenti a una bellezza florida e sensuale. Palma interpreta il nuovo genere di matrice tizianesca in dipinti luminosi e dalle superfici smaltate, dove il soggetto rivolge lo sguardo verso l’osservatore con esplicita attitudine d’invito, come nel caso della Lucrezia Borghese.
Elisa Martini