Questo mosaico, eseguito nel 1600, fu donato da Marcello Provenzale al potente e colto Scipione Borghese che negli anni successivi commissionò all'artista diverse opere, tra cui il noto e raffinato Orfeo (inv. 492).
La composizione, datata e firmata in basso a sinistra "Opus Marcelli Provenzalis de Cento A.D. 1600", raffigura la Vergine, ritratta assisa in posizione frontale su un trono di nuvole quale Regina del cielo. Vestita di rosso e di azzurro, sorregge sulla destra il piccolo Gesù, qui ripreso di profilo.
Salvator Rosa, cm 76 x 65 x 7
L'opera, datata e firmata in basso a sinistra, è attestata per la prima volta in collezione Borghese nel 1693, segnalata dall'estensore dell'inventario presso il palazzo di Ripetta come "un quadro di tre palmi e mezzo incirca con la Madonna e Bambino e Musaico sopra le nuvole con Cornice nera del N. 144 di Marcello Provenzale". Eseguita dal mosaicista centese nel 1600, entrò poco dopo nella raccolta di Scipione Borghese, dove è citata dalle fonti come dono per il potente prelato (Cittadella 1783; Baruffaldi 1846).
Come confermato dalla data, questo mosaico è riferibile alla prima attività di Provenzale, realizzato mentre l'artista era attivo nel cantiere della basilica di San Pietro a Roma. Il suo eccezionale talento, infatti, fu prontamente notato dal cardinale Scipione che, presolo sotto la sua protezione, gli commissionò una serie di lavori, tra cui questa raffinata Madonna (cfr. Della Pergola 1955; Staccioli 1971).
La composizione raffigura la Vergine, assisa in posizione frontale su un trono di nuvole, in qualità di Regina del cielo; è vestita di rosso e di azzurro e sorregge sulla destra il piccolo Gesù, qui ritratto di profilo. Secondo Camilla Fiore (2010), la figura di Maria rivela alcune suggestioni tipiche della maniera di Federico Barocci e di Ludovico Carracci, la cui resa plastica sembra richiamare il gruppo marmoreo della Madonna con la cintola, conservato a Cento presso la chiesa di Sant'Agostino, sicuramente noto al mosaicista centese. Come notato poi dalla studiosa, le tessere di questa composizione - più grandi rispetto a quelle impiegate da Provenzale nel secondo decennio del Seicento - sono disposte in modo 'disordinato' a creare dei giochi di luce tipici delle sue opere più felici. Le pietre, infatti, sistemate con differenti inclinazioni sono variamente colpite dalla luce, restituendo allo spettatore un delicato gioco di bagliori e luccichii.
Antonio Iommelli