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Madonna con Bambino

Vivarini Bartolomeo

(Venezia 1432 ca. - 1499 ca.)

Il dipinto giunse in collezione in epoca recente; fu infatti acquistato dallo Stato nel 1909, dalla soppressa Congregazione di Carità di Forlì. La tavola, inizialmente riferita a scuola di Bartolomeo Vivarini, è stata poi concordemente riportata all’autografia vivarinesca, nonostante la sua lettura sia in parte compromessa dalle vicende conservative subite nel corso della sua storia, con una datazione nella fase matura della produzione dell’artista.


Scheda tecnica

Inventario
578
Datazione
1475-1480 circa
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
tempera su tavola
Misure
cm 65x41
Provenienza

Forlì, Congregazione di Carità, anno incerto; Roma, Galleria Borghese (acquisto 1909).

Conservazione e Diagnostica
  • 1909- 1910 Giovanni Zennaro
  • 1996-1998 Carlo Ceccotti (cornice)

Scheda

La figura della Vergine in trono occupa quasi interamente la superficie della tavola. Maria indossa una veste rossa dalle maniche aderenti allacciate da un bottoncino sul polso, stretta sotto il seno a formare sottili pieghe arricciate che si aprono sul ventre sottolineandone la rotondità; sulla veste è un ampio manto azzurro foderato di rosa e bordato a filo d’oro, che le copre anche il capo. Il volto è quasi frontale, lo sguardo abbassato. Regge sul ginocchio destro il Bambino in piedi, coperto da un sottile panno bianco che scende dalla spalla sinistra; Gesù porta sul volto, presso la bocca, la mano destra dalle dita aperte. Due sottili aureole circondano il capo delle figure.

Del trono è visibile il sedile marmoreo quadrangolare, con le facce specchiate da un listello, concluso in alto e in basso da una cornice modanata, poggiante su ampio gradino, lobato nel lato anteriore; la spalliera è nascosta interamente dalla cortina bruna damascata con motivi a fiorami e pigne. La raffigurazione è ambientata su uno sfondo di paesaggio, con un corso d’acqua, alture e macchie di vegetazione; il cielo è solcato da piccole nubi tondeggianti.

Il dipinto fu acquistato nel 1909 dalla Congregazione di Carità di Forlì. La Congregazione, costituita con decreto del governo napoleonico nel 1807, riuniva diversi istituti assistenziali; soppressa nel 1816, fu nuovamente istituita nel 1862, per la cura dei beni destinati ai poveri e la gestione delle opere pie. Confluita nell’Ente Comunale Assistenza nel 1937, fu soppressa definitivamente nel 1977. La tavola di Vivarini doveva essere probabilmente giunta alla Congregazione attraverso uno dei lasciti o delle eredità che la stessa provvedeva a gestire per l’attuazione dei propri compiti e non può escludersi che qualche notizia possa emergere dalle carte superstiti dell’archivio, in parte distrutto da un incendio a metà del Novecento, conservate nell’Archivio di Stato di Forlì-Cesena. L’opera, a figura intera ma di piccole dimensioni, era verosimilmente destinata alla devozione privata; la sua provenienza sarà dunque da ricercare nella storia del collezionismo familiare.

All’inizio di novembre del 1909 il Direttore della Galleria Borghese Giulio Cantalamessa scriveva a Gino Fogolari, all’epoca Direttore delle Regie Gallerie di Venezia, per far eseguire il restauro dell’opera, appena giunta in Galleria, ai più avvezzi tecnici veneziani; invia a Fogolari la tavola chiedendogli di affidarla a Giovanni Zennaro, pittore e restauratore del quale già aveva sperimentato le capacità. Il dipinto si presentava in cattive condizioni: abraso, sporco e con ossidazioni che annerivano soprattutto il tendaggio verde e l’azzurro del manto. Il restauro lo restituisce a una buona leggibilità, intervenendo a minime reintegrazioni in corrispondenza delle stuccature di piccole cadute dell’imprimitura, secondo l’intento di rispettare l’originalità dell’opera; il risultato dell’operazione non soddisfa tuttavia le attese del Direttore della Galleria, che ne conferma l’attribuzione alla scuola di Bartolomeo Vivarini.

In seguito, la tavola è invece registrata sotto il nome di Bartolomeo nel repertorio di Berenson (1936, p. 208) e tale attribuzione rimane confermata nei cataloghi della collezione a partire dall’edizione del 1937 della guida di De Rinaldis, che ritiene l’opera eseguita dall’artista «nel tempo inoltrato della sua carriera (1475-1480), con evidente attenuazione nell’asprezza consueta della sua scrittura. È quasi un rudere, ma in condizioni perfette di genuinità, senza ritocchi; e le sfumate abrasioni nel volto delle due figure sembrano aggiungere un tocco di pittorica dolcezza ai duri smalti di questo pittore muranese» (De Rinaldis 1937, p. 56).

Una datazione più tarda, intorno al 1485, è proposta da Pallucchini, che nel 1962 dedicava un ampio studio alle figure dei tre pittori muranesi, i fratelli Antonio e Bartolomeo e Alvise, figlio di Antonio. Nei cataloghi successivi, che confermano l’autografia vivarinesca, è proposta una datazione più ampia, alla seconda metà del XV secolo, comunque successiva ai contatti di Antonio, fratello e maestro del pittore, con Andrea Mantegna a Padova, nella cappella Ovetari (Moreno, Stefani 2000, p. 274, n. 4; Herrmann Fiore 2006, p. 183), contatti che segnarono profondamente il linguaggio artistico di Bartolomeo.

 

Il plasticismo mantegnesco connota lo stile maturo dell’artista, nel quale ai riferimenti padovani e squarcioneschi si affianca la conoscenza di Donatello e Andrea del Castagno, presenti con qualche opera nella città lagunare; al risalto dei volumi definiti da una grafia marcata e aspra si unisce la cromia smaltata e quasi vitrea dei colori luminosi e squillanti, che suggerisce la relazione con la contemporanea attività dei pittori muranesi nella produzione di vetrate; una visione che rimarrà distante e alternativa rispetto a quella nuova fusione cromatica e luminosa tra figura e paesaggio ricercata da Giovanni Bellini (Pallucchini 1962, pp. 37-54; Cavalli 2016, pp. 110-116; Pilo 2016, p. 131; Müller 2023, pp. 44-47). Significative, a tale proposito, le parole del biografo Carlo Ridolfi: «Bartolomeo fu il quarto Pittore de’ Vivarini, et il migliore per avventura di tutti loro, poiché con gli esempi delle cose vedute, e per esser’ egli lungamente vissuto, (tutto che non sapesse dipartirsi dall’usata maniera) fece alcuna buona Pittura» (Ridolfi 1648, parte prima, p. 21).

Per la tavola Borghese sembra da confermare una datazione nella seconda metà dell’ottavo decennio del XV secolo, in una fase particolarmente feconda della produzione di Bartolomeo (Romanelli 2016, p. 34). Nel dipinto, il mantegnismo di Vivarini è evidente nelle pieghe spezzate del panneggio e soprattutto nella volumetria scultorea delle figure. Il volume è costruito dalla forza plastica della linea sottilmente incisa, mentre la luminosità e la purezza della cromia, in ampia parte compromessa per lo stato conservativo della superficie dipinta, restano apprezzabili nella veste rossa della Vergine, caratterizzata dal passaggio tra le ombre colorate delle pieghe e il colore quasi sbiancato dalla luce nei risalti. Rimane visibile il ductus delle fini pennellate con le quali è applicata la materia pittorica seguendo la traccia del disegno.

 

La figura frontale e ampia della Vergine, dall’ovale largo del volto dall’espressione lievemente malinconica, gli occhi abbassati dallo sguardo obliquo, è confrontabile con quella del trittico della Misericordia in santa Maria Formosa (1475), simile anche nel panneggio della veste e nell’andamento del manto sul capo, analogamente allacciato sullo scollo e che quindi va a coprire le spalle con pieghe più tirate e meno abbondanti. L’impianto largo e frontale torna anche nella Madonna di Seattle (Seattle Art Museum, Kress collection, inv. 61.175), messa in relazione con il Polittico della Scuola dei Tagliapietra (1477, Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 825) o nel trittico di San Giovanni in Bragora a Venezia (1478), con una formula che sarà ripetuta, con varianti, anche nel decennio successivo. Il Bambino in piedi è molto simile nella posizione, in controparte, a quello nella pala di San Nicola di Bari (1476), ugualmente trattenuto dalla mano affusolata della Vergine, sebbene il nostro porti la mano destra alla bocca con un fare infantile non nuovo in Bartolomeo, con una intonazione sentimentale del dialogo tra Madre e Figlio (Pilo 1999, pp.30-32). Il paesaggio ai due lati della cortina, il cielo azzurro che si schiarisce fino quasi al bianco all’orizzonte, i piccoli cumuli di nubi tondeggianti sono molto vicini a quelli della Madonna con Bambino della National Gallery of Art a Washington (1475 circa, Kress Collection, inv. 1939.1.118).

 

Simona Ciofetta




Bibliografia
  • C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, ovvero le vite degli illustri pittori Veneti, e dello stato, 2 tomi, Venezia, Gio. Battista Sgava, 1648
  • B. Berenson, Pitture italiane del Rinascimento, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1936
  • A. De Rinaldis, La R. Galleria Borghese in Roma, Roma, Libreria dello Stato, 1937
  • P. Della Pergola, Galleria Borghese. I dipinti, 2 voll., Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, 1955-1959, I, 1955
  • R. Pallucchini, I Vivarini (Antonio, Bartolomeo, Alvise), Venezia, Pozza, 1962
  • G.M. Pilo, Bartolomeo Vivarini e la via gotica all’umanesimo, in Pittura veneziana dal Quattrocento al Settecento, a cura di Giuseppe Maria Pilo, Venezia, Arsenale Editrice, 1999, pp. 30-32
  • P. Moreno, C. Stefani, Galleria Borghese, Milano, Touring Club Italiano, 2000
  • Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, Galleria Borghese, a cura di Kristina Herrmann Fiore, Sesto Ulteriano (San Giuliano Milanese), La Neograf, 2006
  • C. Cavalli, I Vivarini, una famiglia di artisti nella Venezia del Quattrocento, in I Vivarini, lo splendore della pittura tra Gotico e Rinascimento, cataogo della mostra (Conegliano, Palazzo Sarcinelli, 20 febbraio-5 giugno 2016), Venezia, Marsilio 2016, pp. 103-129
  • G.M. Pilo, L’altro Rinascimento veneto: i Vivarini, la dinastia e la scuola "di Murano", «Arte documento», 32, 2016, pp. 126-135
  • G. Romanelli, I Vivarini, Firenze, Giunti, 2016 (Art e dossier, Dossier n. 330, marzo 2016)
  • R. Müller, Die Vivarini. Bildproduktion in Venedig 1440 bis 1505, Regensburg, Schnell & Steiner, 2023