Salvator Rosa 43 x 93,5 x 4 cm
Questo rame proviene con buona probabilità dalla collezione di dipinti sequestrati nel 1607 dai fiscali di Paolo V al Cavalier d'Arpino, individuato dalla critica con il "quadretto in rame di un S. Bastiano senza cornice" registrato nel relativo inventario con il numero '34' (Della Pergola 1959). Entrato in collezione Borghese, l'opera è debitamente segnalata nel 1693 presso il palazzo di Campo Marzio, attribuita dall'estensore del documento al 'Martiniani', nome corretto genericamente nel 1700 in favore di uno dei due Zuccari e così segnalato sia nell'inventario del 1790, sia in quello fidecommissario del 1833.
La corretta assegnazione al catalogo di Domenico Cresti è dovuta a Roberto Longhi (1928) dopo che il dipinto era stato erroneamente avvicinato da Adolfo Venturi (1893) a Simone Cantarini e descritto erroneamente da Giovanni Piancastelli nel 1891 come "Crocifissione di S. Andrea". L'attribuzione al Passignano, accolta favorevolmente da Aldo de Rinaldis (1935), fu confermata da Paola della Pergola nel 1959 e accolta positivamente da tutta la critica (Rozman 1974-1976; Nissman 1979).
Il rame rappresenta un momento insolito della Passio di Sebastiano, quando il corpo del martire, trafitto da frecce, viene deposto da tre uomini, uno dei quali ritratto mentre manovra la fune a cui è appeso il santo. La scena è rappresentata all'aperto, davanti a un albero che con la sua chioma nasconde il paesaggio sullo sfondo, di cui si intravede in lontananza un piccolo borgo turrito.
Secondo Simonetta Prosperi Valenti Rodinò (1984), quest'opera fu eseguita intorno al 1602-1603 contestualmente agli altri due dipinti Borghese - l'Annunciazione (inv. 189) e Cristo nel sepolcro (inv. 349) -, subito dopo l'arrivo del pittore nell'Urbe, dove si recò per adempiere a uno degli incarichi più prestigiosi della sua carriera: la Crocifissione di san Pietro per la basilica vaticana. Di fatto, il rame presenta uno schema compositivo dal forte gusto toscano, abbastanza antiquato se confrontato con le contemporanee realizzazioni romane.
Il pittore ebbe modo di tornare su questo soggetto in più occasioni: un primo dipinto raffigurante il Seppellimento di san Sebastiano si conserva a Napoli presso il Museo di Capodimonte, un secondo con San Sebastiano ritrovato nella Cloaca Massima fu eseguito nel 1612 per il piccolo vano della cappella Barberini in Sant'Andrea della Valle a Roma, mentre tra il 1614-1616 il pittore è documentato nel cantiere della cappella dedicata a S. Sebastiano nella villa Aldobrandini a Frascati, dove eseguì diverse decorazioni - con ogni probabilità raffiguranti il martire romano - oggi perdute.
Antonio Iommelli