Curiosamente riferito in antico ad Andrea Mantegna, questo dipinto è attestato in collezione Borghese a partire dal 1700, eseguito con tutta probabilità nella prima metà del XVI secolo da un anonimo maestro umbro fortemente influenzato dalla maniera del Perugino. Raffigura Sebastiano, uno dei più noti martiri cristiani, sopravvissuto secondo la leggenda al supplizio delle frecce. È qui ritratto nudo, con una freccia che gli trafigge il petto, mentre legato ad un palo è raffigurato in un vasto paesaggio di cultura fiammingheggiante.
Salvator Rosa (cm 56 x 46 x 7)
(?) Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650, qui ipotizzato); Roma, collezione Borghese, 1700 (Montelatici 1700); Inventario 1790, Stanza VIII, n. 34; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 35. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questa tavola è ignota. L'opera, infatti, è documentata per la prima volta in casa Borghese nel 1700, segnalata in tale occasione da Domenico Montelatici con un'improbabile attribuzione ad Andrea Mantegna (Montelatici 1700), nome erroneamente ripetuto sia dall'estensore degli elenchi fidecommissari (Inv. Fid. 1833), sia da Giovanni Piancastelli (1891).
Dipinto certamente da un pittore umbro di chiara cultura peruginesca (cfr. A. Venturi 1893), il suo nome rimane tuttora sconosciuto: secondo Paola della Pergola (1955) si potrebbe trattare di Francesco Melonzio, un collaboratore del Vannucci, attivo nella prima metà del XVI secolo principalmente a Montefalco (Beretta Festi 1973), pista mai criticamente esplorata dagli studi ad eccezione di Manuela Gianandrea (in Galleria Borghese 2009) che però nel 2009 pubblica il dipinto come 'Maestro umbro' (Eid.). A detta di Roberto Longhi, invece, la tavola sarebbe da ascrivere ad un artista di origine bolognese fortemente influenzato dalla cultura umbra (Longhi 1928).
Ignorata inspiegabilmente, invece, è l'ipotesi di riconoscere il dipinto con un 'San Sebastiano, trafitto da frecce' segnalato da Iacomo Manilli nel 1650 presso il casino di Porta Pinciana, eseguito a detta dello scrittore da un certo 'Marco da Palma, Pittore antico-moderno' (Manilli 1650). Sebbene, infatti, la sommarietà di tale descrizione induca ad essere cauti, di certo quell'"antico-moderno" cui parla il guardarobiere ben collima con lo stile del nostro autore, bloccato a metà strada tra le soluzioni peruginesche e quella cultura fiamminga rintracciabile nel paesaggio alle spalle del martire. Tuttavia, in assenza di informazioni che possano condurre a identificare e ad isolare la personalità artistica di 'Marco da Palma", questa strada resta solo un'ipotesi.
Antonio Iommelli