Questo dipinto, già attribuito a Raffaello, dovette essere eseguito sul finire del XVI secolo da un ignoto pittore italiano, di cultura veneto-emiliana, guardando alla coeva produzione fiamminga. Raffigura la Sacra famiglia adorata da due pastori, immersa in un aspro paesaggio caratterizzato da rovine e solcato da un alto rilievo montuoso.
Salvator Rosa (cm 33 x 175 x 7)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza II, n. 80; già Della Pergola 1959 (Stanza II, n. 39 (sic)) - corretto poi da Eid. 1964); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 35. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questa tavola è ignota. L'opera, infatti, è documentata in casa Borghese solo a partire dal 1693, identificata da Paola della Pergola con un "quadretto di un palmo in circa con l'Adorazione de Pastori di Raffael d'Urbino del n. 215 con cornice dorata" (Della Pergola 1964). L'attribuzione a Raffaello, rifiutata già nel Fidecommisso, dove il dipinto è elencato come 'autore incognito' (Inv. Fid. 1833), fu respinta senz'alcun dubbio anche da Adolfo Venturi che dal canto suo parlò di 'Scuola Veneziana' (Venturi 1893). Nel 1959, in occasione della pubblicazione del catalogo dei dipinti della Galleria Borghese, Paola della Pergola presentò la tavola come 'Imitazione da Maestro fiammingo' (Della Pergola 1959), eseguita a detta della studiosa da un anonimo maestro italiano della metà del XVI secolo prendendo in prestito molti vocaboli dal mondo nordico. Purtroppo, il modesto stato di conservazione in cui versa l'opera non aiuta certamente nella lettura della sua autografia sebbene il paesaggio, che si apre su una vasta vallata sormontata da un aspro rilievo montuoso, richiami alla mente la produzione di quegli artisti, attivi tra Venezia e l'Emilia intorno ai primi anni Ottanta del Cinquecento, fortemente influenzati dalla cultura fiamminga.
Antonio Iommelli