Le due urne in marmo nero antico, poste su zoccoli mistilinei decorati con una modanatura a ovoli e cartigli con conchiglie e teste umane, sono sostenute da quattro peducci a forma di drago, elemento araldico dei Borghese. Su ciascuno dei lati lunghi sono scolpiti due finti manici tondi cui è annodato un nastro e, tra di essi, è un piccolo rosone. I coperchi, modanati, sono conclusi in alto da motivi fogliari ed hanno un bocciolo con bacche come pomolo.
La coppia di urne è attribuita a Silvio Calci e datata alla prima metà del Seicento sulla base della citazione presente nella Descrizione di Iacomo Manilli. L’autore osservava che le urne erano eseguite a somiglianza delle grandi vasche antiche di granito, provenienti dalle Terme di Caracalla, che un secolo prima erano state riutilizzate come fontane nella piazza Farnese di Roma, di fronte all’omonimo palazzo, dove si vedono tuttora. L’autore attribuisce senza esitazioni le urne al Calci, esperto nella produzione di pezzi simili e attivo per i Borghese, per i quali esegue diversi arredi.
Il Manilli, primo a citare le due urne, le descrive come eseguite “à somiglianza delle Conche, o Labri grandi di Granito, che si vedon nella Piazza Farnese, con quattro Draghi, che lo sostengono; opera moderna di Silvio Velletrano” (Manilli, 1650, p. 67). Le vasche di granito citate, provenienti probabilmente dalle Terme di Caracalla, erano state fatte collocare da papa Paolo III in piazza Farnese alla metà del Cinquecento, in attesa di poter essere trasformate in fontane, cosa che fu resa possibile soltanto un decennio dopo l’entrata in funzione dell’acquedotto paolino del 1612 (Ambrogi 1995, pp. 141-147 cat. B.I. 59-60).
Ponendo a confronto le urne con le vasche, ritroviamo la stessa forma e i medesimi manici circolari, mentre al posto delleteste di leoni qui sono altrettanti rosoni. Si tratta comunque di elementi decorativi molto frequenti in questo tipo di manufatti, generalmente provenienti da ambienti termali romani (Ambrogi 1995, pp. 19-21).La presenza del coperchio deriva invece dall’uso successivo delle vasche antiche, che, in età medievale e moderna, vennero frequentemente trasformate in reliquiari e collocate sotto le mense degli altari o utilizzate come fonti battesimali (Ambrogi 1995, pp. 41-48).
Su uno zoccolo orlato in alto da una modanatura a ovoli e decorato da cartigli, che nei lati lunghi sono sormontati da conchiglie e in quelli corti hanno teste umane al centro, sono poste le due urne in marmo nero antico, sostenute da quattro peducci a forma di drago, con la testa rivolta all’indietro lungo i lati lunghi, le bocche aperte a mostrare i denti e le ali distese e aderenti alla superficie liscia dei corpi delle urne. Questi, svasati verso l’alto, sono decorati nei lati lunghi da due finte maniglie tonde cui è annodato un nastro, posti subito sotto l’orlo a becco di civetta, e da un piccolo rosone al centro. I coperchi, modanati a listello, gola dritta rovesciata e cavetto rovesciato, sono decorati in alto da quattro grandi foglie di acanto, le cui estremità, arrotolate su sé stesse, creano sporgenze con la funzione, forse, di maniglie; al di sopra, più piccole, altrettante foglie,apparentemente di alloro, con le punte rivolte verso l’alto. I pomoli sono composti da un bocciolo con bacche.
La paternità di Silvio Calci da Velletri indicata da Manilli è stata concordemente accettata dalla critica successiva (Faldi 1954, p. 44, fig. 42; Della Pergola 1974, p. 15; Le collezioni 1981, p. 103; Coliva 1994, pp. 318-319; Galleria Borghese 2000, p. 137) e certa ne è l’esecuzione per la famiglia Borghese, di cui il drago riprodotto nei sostegni è animale araldico.
Jennifer Montagu, che sulla base di un pagamento ad Alessandro Algardi del 17 agosto 1637 per “diversi modelli di vasi et fontane di esso fatto per S.E.” (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, vol. 5595, n. 593 in Montagu 1985, II, p. 461) ha proposto l’attribuzione ad Algardi del disegno dei due vasi con protomi aquiline (invv. CXXX-CXXXI) scolpiti da Silvio Calci, ritiene non sia una pura coincidenza il fatto che nelle due urne siano raffigurati i draghi, l’altro animale araldico della famiglia Borghese. Anche il materiale utilizzato per l’esecuzione delle due urne - il marmo nero antico, estratto in epoca romana da cave tunisine - è lo stesso scelto per l’esecuzione delle due anfore con protomi aquiline. La studiosa evidenzia inoltre come le stesse vasche di piazza Farnese abbiano ispirato Algardi nel disegno dell’urna reliquiario della Maddalena per la basilica di S.te-Marie-Madeleine a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume, scolpita in porfido dallo stesso Silvio Calci (Montagu1985, II, pp. 461-462, cat. A.213). Le rosette, infine, tornano con caratteristiche simili in un disegno di Algardi per un vaso decorativo e nel progetto per il reliquiario di S. Francesca Romana (Montagu 1985, II, p. 462).
Si verrebbe così a delineare, secondo la studiosa, una collaborazione ricorrente tra i due artisti, nell’ambito della quale Calci intagliava nella pietra le idee del maestro bolognese, unico artista originale attivo in quegli anni per i Borghese, al quale si possono plausibilmente attribuire i progetti per alcuni dei vasi eseguiti sullo scorcio degli anni Trenta. A ulteriore conferma di tale supposizione sarebbe il fatto che alla stessa coppia di autori si devono le due anfore con anse serpentiformi, eseguiteper Marcantonio II Borghese in marmo nero del Belgio nel 1638 (inv. CCXIX).
Collocate nel 1650 una in sala II l’altra nella VII, entrambe le urne risultano esposte in sala IV dal 1893 (Venturi, p. 35); attualmente sono nei depositi della Galleria.
Sonja Felici