Il dipinto risulta in collezione già dalla metà del XVII secolo, come opera di Leonardo o di Sodoma, nome quest'ultimo poi definitivamente accettato dalla critica. La Pietà appartiene alla produzione tarda dell'artista. Il forte chiaroscuro delle figure e il paesaggio cupo nello sfondo infondono un forte sentimento di melanconia.
Collezione Borghese, citata da Manilli nel 1650; Inventario 1693 (Stanza IV, n. 7); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 40. Acquisto dello Stato, 1902.
Nonostante Giacomo Manilli, nel 1650, avesse già dubbi riguardo la sua attribuzione (“l’altro della Pietà è stimato da alcuni, di Lionardo; e da altri, del Sodoma”: 1650, p. 64), nell’inventario Borghese del 1693 verrà ritenuta opera di Leonardo da Vinci. Il dubbio venne sciolto da Frizzoni che prese le parti del pittore di Vercelli (1891, p. 144), proposta confermata da Morelli (1897, p. 147) e poi definitivamente accettata dalla critica. La scena emana grande sofferenza: ai piedi della croce la Vergine tiene in grembo il corpo del Figlio mentre sullo sfondo si apre uno scorcio di paesaggio, con alberi “spinosi”, investito anch’esso di un profondo senso di dramma e dolore. I colori lividi contribuiscono a creare un’immagine di estremo coinvolgimento emotivo, vera partecipazione alla morte di Cristo.
Se l’attribuzione lascia meno perplessità, la datazione risulta più complessa: escludendo Meyer, Gielly e De Rinaldis, i quali riconoscevano nello stile del pittore quello sperimentato negli anni ’20 del Seicento, la critica tende a considerarla “tra le opere della matura attività del Sodoma” (Morelli 1897, p. 147), lontana dunque da quelle opere dove “le ombre sono chiare e luminose”, e in generale assai tarda (Priuli Bon, Carli, Radini Tedeschi).
Gabriele De Melis