La formella di pietra paesina su cui è la raffigurazione del Presepe è ricordata in Galleria già nel 1693, ma non è segnalata negli inventari successivi. L’opera è stata attribuita ad artisti diversi e, recentemente, a Jaques Stella; tuttavia appare più prudente mantenere un riferimento più ampio a ignoto pittore romano della seconda metà del secolo XVI.
Collezione Borghese, citata nell’inv. 1693 (n. 79). Acquisto dello Stato, 1902.
La formella, realizzata con la tecnica dell’olio sulla pietra, viene citata per la prima volta nell’inventario del 1693 come “un quadretto con il Presepio dipinto sopra Pietra con cornice di ebbano profilata di bianco del n… incerto” (Inv. 1693, n. 82) con attribuzione già incerta, mentre scomparirà negli inventari successivi per riapparire solo nel manoscritto del Piancastelli che la confuse con un altro dipinto (1891, p. 296).
La pietra usata, quasi esclusivamente proveniente dalla Toscana, viene chiamata paesina in quanto spesso vi si riconoscono edifici, rupi o paesaggi desertici, ed è costituita principalmente da calcare e argilla; in virtù della sua natura, si rende in grado di caratterizzare l’opera creando un vero palcoscenico ‘naturale’, tanto che queste pietre dipinte venivano ricordate negli inventari medicei come “fatti dalla natura e aiutati con il pennello”.
Tra i meandri rocciosi l’artista inscena un presepio con la Vergine e il Bambino affiancati dal bue e dall’asinello, mentre Giuseppe è in piedi e accoglie i viandanti.
I nomi avvicinati alla formella sono stati quelli di Joachim Patinier (Venturi 1893, p. 122; cfr. van Puyvelde 1950, p. 84), Antonio Tempesta e, più di recente, quello di Jacques Stella (Hermann Fiore 2006, p. 70): quest’ultimo, soprattutto durante il soggiorno romano, si era distinto nella pittura su pietra paesina e sembra essere il più convincente dei tre. In precedenza, sia Longhi che Della Pergola si astenevano da una precisa attribuzione a causa della condizione del dipinto piuttosto “guasto e malcerto” (Longhi 1928, p. 343) che rendeva difficile “uscire dall’anonimato della scuola romana” (Della Pergola 1959, p. 97).
Gabriele De Melis