Questo dipinto proviene dalla ricca collezione del Cavalier d’Arpino, sequestrata dai fiscali di Paolo V nel 1607. L'opera raffigura un uomo con un ricco abito che, insieme all’anello e all’esibizione di un guanto, attesta l'appartenenza dell'effigiato a una sfera sociale alta. Il ritratto, nato nel solco dell'esperienza della pittura veneta, mostra alcune soluzioni rivisitate in chiave ferrarese, lette in passato dalla critica in direzione di Girolamo Sellari, a cui l'opera era stata attribuita.
Il quadro proviene dal sequestro della collezione appartenuta al pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino, accusato nel 1607 dai fiscali di Paolo V di detenzione illegale di armi da fuoco. L'opera, infatti, è descritta nell'inventario di quell'anno come "Un quadro d'un ritratto d'un Dottore con li guanti in mano senza cornice". Rimasto sempre nella raccolta, questo ritratto fu erroneamente attribuito dall'estensore degli elenchi fedecommissari a Giovanni Battista Moroni (1833), attribuzione rivista da Bernard Berenson (1907) in favore di Paolo Farinati e scartata nel 1928 da Roberto Longhi che vide nell'opera "una interpretazione nordica dei modi tizianeschi" simile, secondo lo studioso, a quella di Jan Stephan van Calcar.
Dopo un accurato restauro finito nel 1953, Paola della Pergola (1955) riconobbe la mano di Girolamo da Carpi, a cui assegnò senza alcun dubbio il dipinto. Secondo la studiosa, infatti, la tela mostra caratteri veneti assorbiti dalla pittura ferrarese che insieme all'iconografia, lo stile e il rapporto tra immagine e fondo rimandano al catalogo del Sellari. Tale parere non venne però accolto da Amalia Mezzetti (1977) che nel 1977 escluse il dipinto dal catalogo del pittore, seguita di recente da Alessandra Pattanaro (2021).
Antonio Iommelli