Il ritratto virile è una fine testimonianza della ritrattistica di inizi Cinquecento di ambito veneto. Il modello figurativo è quello fiammingo, penetrato in ambito lagunare attraverso la bottega belliniana, ai cui seguaci è stato nel tempo ascritto il ritratto in oggetto. Allo stile di Palma il Vecchio è stato avvicinato su basi stilistiche, determinate dal profilo della testa, dalle tonalità fredde e dal contorno indeterminato della bocca.
Roma, Collezione Borghese, Inventario 1693; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 33, n. 28. Acquisto dello Stato, 1902.
All’interno del catalogo della collezione, Paola della Pergola ricorda il dipinto quale autografo di Palma il Vecchio (Della Pergola 1955, p. 125, n.225). Soluzione per lo più condivisa in seguito, ma che giunge dopo numerose oscillazioni, a cominciare dall’inventario del 1693, quando il dipinto è ricordato quale opera di Pordenone (Della Pergola 1963, pp. 459-463). Nell’Inventario Fidecommissario del 1833 il dipinto arriva ad essere registrato quale opera di Simone Cantarini (p. 33) e come tale pubblicato da Piancastelli nel 1891 (Piancastelli 1891). Più attentamente Venturi riportava il dipinto ad un ambito veneto, riconducibile alla «scuola di Giovanni Bellini», sottolineando come «il ritratto manca di rilievo nei piani, ma è eseguito con diligenza, e rende soavemente i caratteri della figura, le sue labbra tumide, gli occhi pieni di idealità, non il collo che è di larghezza eccessiva. Il paesaggio del fondo è terminato da una linea di monti di un azzurro intenso che spiccano su un cielo di tramonto» (Venturi 1893, p. 207). Un riferimento a Bellini era in realtà già presente nella proposta di Cavalcaselle che aveva fatto il nome di Vittore Belliniano (Cavalcaselle 1871, I, p. 284). Longhi, riprendendo una timida proposta avanzata da Bernardini nel 1910, vi aveva visto la maniera di Palma il Vecchio (Longhi 1927, p. 218). Ancora verso un’orbita belliniana è l’attribuzione di Wilde (Wilde 1933, VII, p. 134), poi ripresa da Berenson (Berenson 1951, pp. 72-74), mentre in favore della pittura di Andrea Previtali è la proposta di Heinemann (1962, I, p. 145). All’interno di queste, tuttavia, la proposta di Longhi di vedervi l’opera del giovane Jacopo Negretti è stata quella maggiormente seguita dalla critica successiva (Della Pergola 1955; Ballarin 1968; Rylands 1988). Certamente proveniente dalla fucina belliniana, la cui matrice è di origine fiamminga, è l’uso di impostare il ritratto a mezzo busto visto di trequarti, di cui sono ravvisabili alcuni modelli quali il “Ritratto di Joerg Fugger” del Norton Simon Museum di Pasadena ed esempi illustri come il “Ritratto di giovane uomo” della Accademia di Carrara. Nonostante l’iscrizione, che ricorda la data e la giovane età dell’effigiato, questi rimane ancora non riconosciuto. Rispetto ai modelli di alcuni decenni precedenti, la grande novità è determinata dalla presenza del paesaggio alle spalle del soggetto, che va a sostituirsi integralmente al fondo neutro sul quale erano stanziati tradizionalmente i soggetti. Elemento questo che facilita e accresce la spinta di ricerca psicologica intentata sul personaggio. Una volontà che scaturisce anche dalla destinazione di questi manufatti, per i quali è stato proposto avere una funzione privata, di ricordo visivo da scambiare tra conoscenti e amici (Ballarin 1983, p. 491). Correttamente è sottolineato da Alessandra Zamperini nella scheda relativa (Zamperini 2011, pp. 471-472) come, oltre ad alcuni elementi del paesaggio, la presenza dell’ara comprensiva di un’analoga iscrizione sia presente anche nella Madonna con Bambino di Giovanni Bellini della Pinacoteca di Brera. Lo scarto rispetto alla più stretta maniera belliniana sarebbe non tanto nel rapporto tra figura e paesaggio, quanto nel dominante confronto psicologico cercato nello sguardo del personaggio. Elemento questo che suggerisce una lettura della lezione giorgionesca del primo decennio del Cinquecento, in favore di un’attenzione verso i caratteri fisiognomici del personaggio. All’interno di queste determinazioni, la scelta di non rinunciare ad alcune cifre stilistiche, quali l’inclinazione della testa, il fatto di non rimarcare il contorno delle labbra, l’uso di tonalità fredde, avvicinano il dipinto al nome di Palma il Vecchio.
Fabrizio Carinci