La figura di Meleagro è ritratta nuda a eccezione della clamide, il mantello, sinuosamente adagiata ad un tronco e sorretta da una lancia. Alla sua destra è raffigurato un cane e alla sinistra, schiacciata dall’asta della lancia, la testa di un cinghiale. Omero nell’Iliade racconta l’uccisione dell’animale inviato da Artemide, per mano del cacciatore calidonio.
La scultura è da considerare una delle numerose repliche note di un originale bronzeo attribuito allo scultore Skopas operante nel IV secolo a.C.
Ricordata nel 1613 nel Palazzo Borghese di Borgo si ritrova già nel 1650 in una delle nicchie della Galleria del Casino (attuale sala IV). Trasferita nel Palazzo di Campo Marzio alla fine del Settecento, dal 1828 torna definitivamente nella Villa Pinciana.
Collezione Borghese è ricordato nel 1613 nel Palazzo Borghese a Borgo (Francucci, Archivio Apostolico Vaticano, Fondo Borghese, serie IV, n. 108, folio 128r, strofe 442; nella Villa in una delle nicchie della Galleria del Casino - attuale sala IV (Manilli 1650, p. 75); nel Palazzo di Campo Marzio dalla fine del XVIII secolo e, dal 1828, nuovamente nella Villa (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, busta 1007, fasc. 301, n. 3); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 42, n. 16. Acquisto dello Stato, 1902.
“Ben altro compie la mano di Melagro, e di due aste scagliate
La prima si fissò in terra, ma la seconda nel mezzo del dorso.
Nessuna tregua, mentre la belva infuria, mentre si rigira in cerchio su se stessa
Ed emette sibilante schiuma col recente sangue,
l’autore della ferita le è da presso ed accresce la ferocia del nemico e,
standogli di fronte, gli immerge in una spalla il lucente spiedo”.
(Ovidio, Metamorfosi, VIII, vv. 414-419)
Nel 1613 la statua è ricordata in un poemetto di Scipione Francucci nel Palazzo Borghese di Borgo come “Adone di marmo con cigniale appresso” (Archivio Apostolico Vaticano, Fondo Borghese, serie IV, n. 108, folio 128r, strofe 442).
Nel 1650 è menzionata dal Manilli in una delle nicchie della Galleria del Casino - attuale sala IV (p. 75). Il Montelatici ne conferma la collocazione e interpreta la statua come Adone o come Meleagro, con una leggera propensione per questa seconda ipotesi (1700, pp. 229-230). Alla fine del XVIII secolo è ritratta in un disegno del pittore Francesco Caucig – a Roma dal 1781 al 1787 – ancora all’interno del Casino (Kupferstichkabinett der Akademie der Bildenden Künste, Vienna, n. 286).
Nel 1828 in uno dei due elenchi che accompagnano la quarta nota sulle opere scelte per essere restaurate e collocate all’interno delle sale dopo lo spolio napoleonico, la statua, identificata ormai come Meleagro, è citata proveniente dal Portico del Primo Piano del Palazzo e affidata per i restauri allo scultore Antonio d’Este. Dalla nota citata risulta dunque che la statua era stata in precedenza portata al Palazzo di città, probabilmente a seguito dei lavori di ristrutturazione diretti dall’architetto Antonio Asprucci per Marcantonio Borghese: l’opera non è infatti compresa nella descrizione delle sculture della Villa redatta nel 1796 da Lamberti e Visconti (Sculture del palazzo della Villa Borghese detta Pinciana); di lì fu quindi condotta allo studio di Antonio D’Este per essere restaurata, in vista del ripopolamento della Villa con nuove opere, dopo la spoliazione napoleonica. Gli interventi sono infine descritti nella quinta nota dei restauri: “Statua pedestre di Meleagro di marmo greco trasparente, con testa, gambe e braccio destro tutti oggetti moderni, ristaurato molti anni or sono. Senza equivoco questo monumento è un Meleagro, anzi ciò che vi è di antico è tanto prezioso, che non dubbita di gareggiare con quello del Museo Vaticano, tanto nel nudo, che nelle drapperie, e negli attributi” (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, busta 1007, fasc. 301, n. 3; Moreno, Sforzini 1987, pp. 260-262).
La scultura, tornata così nella Villa, viene infine sistemata nel Salone, dove la descrive Nibby nel 1832 e dove tuttora si trova (p. 43).
L’opera risulta fortemente restaurata: è plausibile ritenere che le cospicue integrazioni, riconosciute nella quinta nota sopra citata, siano state realizzate entro il primo decennio del Seicento, al tempo in cui era esposta nella residenza del cardinale Scipione Borghese. Raffigura un giovane stante, poggiato a un tronco, il cui corpo insiste sulla gamba destra mentre la sinistra è flessa all’indietro e tocca terra solo con la punta del piede. Il braccio destro è portato dietro al dorso, e il sinistro sorregge una lancia poggiata leggermente sulla spalla. La figura, dallo schema sinuoso, è ritratta nuda, a eccezione di una clamide, un mantello, fermata sulla spalla destra che ricade sul braccio sinistro. Ai piedi indossa degli elaborati calzari trattenuti al polpaccio da un fiocco di cuoio. A destra di Meleagro è presente un cane adagiato sulle zampe posteriori e con quelle anteriori dritte che volge il capo verso l’uomo. Sul lato sinistro l’asta della lancia poggia inferiormente su una testa di cinghiale posta al suolo. Omero nell’Iliade narra l’uccisione da parte di Meleagro del mitico animale inviato da Artemide contro il padre Eneo per i mancati sacrifici: ”irata la Saettatrice un mostro gli suscitò contro, un cinghiale selvaggio dalle candide zanne che molti danni andava facendo alla vigna d’Eneo: molti grandi alberi, dalle radici divelti, abbatteva con tutto il loro ceppo e con tutti i frutti fiorenti. Allora Meleagro lo uccise, il figlio d’Eneo, riuniti uomini e cani da molte città a dargli la caccia, perché non sarebbe stato mai vinto da pochi mortali: tanto era enorme, e molti mandò sul rogo funesto” (Omero, Iliade IX vv. 538-546).
Il Venturi nel 1893 individua una forte affinità con una statua di soggetto analogo conservata ai Musei Vaticani che ritiene pertinente a un medesimo archetipo bronzeo di IV secolo a.C. (Helbig 1966, pp. 74-75, n. 97). Lo Helbig osserva però nella replica Borghese un allontanamento dalla plasticità originale dovuto soprattutto agli interventi di restauro, nel braccio sinistro e nell’orlo della clamide eccessivamente vicini al corpo e al braccio (Helbig 1913, p. 233, n. 1532). Il Lippold ponendo a confronto l’opera Borghese con una simile nella Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen (inv. 1562: Poulsen 1951, pp. 257-59) ritiene la clamide una libertà aggiunta dai copisti romani sul tipo statuario originale (1926, p. 4, n. 2714).
Gli studi sono concordi nel considerare le numerose repliche conservate della figura di Meleagro come derivazioni da un originale attribuito allo scultore Scopas, caratterizzate da diversificazioni stilistiche (Arias 1952, pp. 128-31; Hanfmann, Pedley 1964, pp. 61-66; Stewart 1977, pp. 142-144).
La scultura Borghese, in particolare, è da considerare una copia di età romana inquadrabile tra il 140 e il 150 d.C.
Giulia Ciccarello