Il dipinto, documentato in collezione Borghese a partire dal 1693, è stato attribuito dalla critica al pittore cosentino Pietro Negroni detto lo Zingarello. Raffigura un giovane ragazzo, ritratto di tre quarti, mentre esibisce una spada sul fianco e una sofisticata berretta ornata da una piuma e da una piccola medaglia. L'effigiato - forse un cavaliere - è appoggiato a un tavolo su cui giace una lettera con la scritta 'IN ROMA'.
Salvator Rosa (cm 94,8 x 77,8 x 6,8)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza VIII, n. 62); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 37). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. L'opera, infatti, è identificabile solo a partire dal 1693, descritta nei documenti inventariali di casa Borghese come "un giovane con la spada al fianco con un pezzo di carta dipinta che dice 'in Roma' del n. 650 cornice dorata del Titiano". L'attribuzione al pittore cadorino, rivista nel Fidecommisso del 1833 come 'scuola di Raffaello', fu rigettata nel 1893 da Adolfo Venturi (Id. 1893) che dal canto suo preferì parlare di Parmigianino, nome accolto in un primo momento da Roberto Longhi, ma poi da questi mutato in favore di Giorgio Vasari (Longhi 1928; Id. 1967). Quest'ultimo parere non convinse però la critica successiva che se da una parte preferì ristagnare nel solco 'parmigianinesco' scavato da Venturi (Froelich-Bum 1921; Copertini 1932; Della Pergola 1955), dall'altra optò per Girolamo Bedoli Mazzola (De Rinaldis 1939) e per Jacopino del Conte (Quintavalle 1948).
La prima a proporre il nome di Pietro Negroni detto lo Zingarello fu Sylvie Béguin (1988-89) che, facendo un punto sulla produzione dell'artista cosentino partendo dalla pala con la Natività di San Domenico di Aversa, non esitò ad assegnargli il ritratto Borghese, notando nel dipinto l'assenza di quell'eleganza tipica della scuola parmense. Secondo la studiosa, infatti, il tratto pungente degli occhi e delle labbra - riconducibile ad un artista legato alla maniera tosco-romana di Perino e Salviati e al realismo meridionale di Polidoro da Caravaggio - condurrebbe dritto a Pietro Negroni, pittore attivo con Marco Cardisco a Roma (cfr. a tal proposito Leone de Castris 1996), dove l'opera, come recita il cartiglio - 'IN ROMA' - fu eseguita intorno ai primi anni Trenta del Cinquecento.
Tale ipotesi, scartata da Kristina Hermann Fiore (Hermann Fiore 2006), è stata accettata da Pierluigi Leone de Castris (Id. 1996) e da questi riconfermata (Leone de Castris 2006) nel catalogo della mostra napoletana su Tiziano e il ritratto di corte da Raffaello ai Carracci. Secondo lo studioso, infatti, il Ritratto Borghese risulta una 'rara traccia' della produzione profana dell'artista, qui affascinato dalla lezione messinese di Polidoro, innestata sul linguaggio del conterraneo Cardisco e 'cogli esiti contemporanei dei romanisti fiamminghi nel genere d'uno Scorel o d'un Heemskerk' (cfr. Leone de Castris 2006).
Antonio Iommelli