L’opera, di provenienza sconosciuta, è documentata nella raccolta Borghese a partire dalla metà del Seicento, quando appare descritta dal Manilli nella guida della Villa Pinciana. L’attribuzione al Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi), già presente in questa fonte, ritorna negli inventari di fine Settecento e primo Ottocento, ed è tuttora accettata dalla critica.
Il dipinto dimostra un aggiornamento sulla cultura artistica dell’Italia settentrionale, suggerendo un possibile soggiorno del pittore a Milano prima del trasferimento a Siena nei primi anni del Cinquecento.
Salvator Rosa cm. 106,5 x 87 x 8
Collezione Scipione Borghese, citato nell’Inventario 1790, Stanza VII, n. 101; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 36, n. 17. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto rappresenta la Madonna seduta con in braccio il Bambino, quest’ultimo colto nell’atto di ricevere un fiore da San Giuseppe, posto alle spalle del gruppo. I volti dei personaggi rivelano una grande attenzione alla resa degli affetti, in particolare lo scambio di sguardi tra San Giuseppe e l’Infante, nonché l’espressione fissa e malinconica della Vergine, probabilmente allusiva della futura passione di Cristo. Sulla destra la visuale è aperta verso un paesaggio che si sviluppa sullo sfondo, con alcune costruzioni nel piano più ravvicinato e altre che si stagliano in lontananza accanto ad un ponte. L’opera rivela una conoscenza della pittura leonardesca nella caratterizzazione espressiva dei personaggi, ma anche degli sviluppi prospettici messi a punto in ambiente milanese da artisti quali Zenale, Bramante e Bramantino (Stefani 2000, p. 270). Il Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi), formatosi dapprima nella natia Vercelli e trasferitosi poi a Siena nei primi anni del Cinquecento, potrebbe aver soggiornato a Milano prima di arrivare in terra toscana, come sembra fortemente suggerito da parte della sua produzione pittorica, compresa la Sacra Famiglia Borghese (sull’argomento si veda R. Bartolini, Le occasioni del Sodoma. Dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, Roma 1996, pp. 87 e sgg.).
Di provenienza indeterminata, il dipinto è presente nella collezione Borghese almeno dalla metà del Seicento, come testimonia la guida della Villa Pinciana redatta da Jacopo Manilli (1650, p. 79), in cui si legge “[…] il quadro della Madonna, con Christo in braccio, è del Sodoma”. Nel tardo Settecento l’attribuzione dell’opera al Sodoma doveva ormai essersi persa, dato quanto scritto da Guglielmo Della Valle nelle sue Lettere Sanesi sopra le Belle Arti (1786, p. 279) a proposito dell’artista: “Anche nella ricchissima Galleria Borghesi [sic] vi è di suo, in tavola, una Vergine col bambino, la quale il Custode dice di mano sconosciuta, ma che a me non è tale certamente” (si veda anche Radini Tedeschi 2010, p. 224). Soltanto pochi anni dopo, nel 1790, la Sacra Famiglia appare nell’inventario di casa Borghese redatto in tale anno e poi ancora in quello fidecommissario del 1833, in entrambi i casi riportando il nome del Bazzi. Alla fine del secolo la critica ha ripreso tale attribuzione, che è ancora oggi largamente condivisa.
Nel corso degli anni si sono susseguiti dei tentativi di individuare il contesto cronologico della tavola, datata da alcuni nella prima metà degli anni Dieci del Cinquecento (Priuli Bon 1900, p. 113; Faccio 1902, p. 189; Cust 1906, p. 351; Gielly 1911, p. 168; Hauvette 1911, p. 56;), da altri tra il 1525 e il 1530 (Carli 1950, n. 21; Hayum 1976, pp. 209-210; Radini Tedeschi cit.). Quest’ultimo giro d’anni appare forse più convincente per le affinità individuate tra il dipinto Borghese e alcune opere senesi dell’artista, quali l’Adorazione dei magi nella chiesa di Sant’Agostino (1528) e i quattro pannelli dipinti di un cataletto commissionato dalla Compagnia di San Giovanni Battista (1526-1528, ora nel Museo dell’Opera del Duomo. Cfr. Hayum, cit.).
Pier Ludovico Puddu