Quest’opera è probabilmente uno dei dipinti appartenenti alla collezione di Lucrezia d’Este d’Urbino, che lasciò in eredità tutti i suoi beni al cardinale Pietro Aldobrandini, facendo giungere a Roma un significativo nucleo di dipinti ferraresi, per poi arrivare attraverso l’eredità di Olimpia Aldobrandini junior in collezione Borghese.
La piccola tela è un capolavoro della “pittura degli affetti”: la Vergine, seduta davanti a un solido tronco, placa e vigila sul gioco fanciullesco del piccolo Gesù, seduto sulle sue ginocchia, e di Giovanni Battista, al quale il cugino ha sottratto la croce astile con la quale si stava divertendo insieme all’agnellino che tiene tra le braccia. Dietro l’albero, in disparte rispetto alla amorevole quotidianità rappresentata in primo piano, Giuseppe poggia le spalle sullo stesso albero in cui è appoggiata Maria mentre legge un libro.
Il paesaggio sullo sfondo è quello di una città affacciata su un fiume in fiamme, dalla quale provengono fiamme e un intenso fumo nero che mentre sale si confonde con le tenebre appena rischiarate dall’alba.
Ferrara, Lucrezia d’Este, duchessa di Urbino, 1592, p. 343, n. 15 (attribuzione a Sigismondo Scarsella); Roma, cardinale Pietro Aldobrandini, 1603, n. 102 (attribuzione a Sigismondo Scarsella); Roma, Olimpia Aldobrandini junior, 1682, n. 457 (attribuzione a Sigismondo Scarsella); Collezione Borghese, Inventario 1620-1630, Stanza II, verso l’uccelliera (l’inventario, redatto in varie fasi, cita il dipinto sia nel casino di Porta Pinciana sia nel palazzo a Ripetta) così come ipotizzato da Hermann Fiore 2002; Inventario 1693, Stanza VIII, n. 444 (attribuita a Leonardo da Vinci, ?); Inventario 1700, Stanza IX, n. 11; Inventario Fidecommissario Borghese Borghese 1833, p. 32 (attribuita a Ludovico Mazzolino, ?). Acquisto dello Stato, 1902.
Quest’opera è probabilmente uno dei dipinti appartenenti alla collezione di Lucrezia d’Este duchessa d’Urbino. Infatti, nel suo inventario di beni del 1592 al numero 15 si legge «Di sopra a cornice a man manca vi sono due quadretti con la Madonna con Nro Signore Imbrazzo di mano di Mondino Scarsella, et l’altro con una Madonna simile di mano del Dosso» (Della Pergola 1959). La nobildonna ferrarese lasciò in eredità tutti i suoi beni al cardinale Pietro Aldobrandini, allora legato pontificio di Ferrara, facendo giungere a Roma un significativo nucleo di dipinti ferraresi, tra i quali nell’inventario del 1603 al numero 102 è scritto «Una Madonna col putto in braccio, in tavola piccola Mondino Scarsella» (Della Pergola 1960). L’attribuzione della piccola tavola a Sigismondo Scarsella, padre di Ippolito, viene ripetuta nell’inventario di Olimpia Aldobrandini junior del 1682, dove al numero 457 è descritto «Un quadro in tavola con la Madonna e il putto in braccio alto palmi uno incirca del Mondin Scarsella» (Della Pergola 1963). Tali affermazioni documentarie hanno posto non pochi problemi alla critica, giungendo alla conclusione che questa annotazione faccia riferimento o ad un quadro oggi perduto realizzato da Sigismondo, detto il Mondino (Hermann Fiore 1998, pp. 192-193; Eadem 2002, pp. 208-209, n. 43) o al dipinto Borghese (Grigoletto 1978, p. 260; Bentini 1993, p. 258; Morandotti 1997, p. 30). Se quest’ultima ipotesi si rivelasse esatta, sarebbe basata su dati documentari non pertinenti, dunque la prima vera e propria citazione di questo dipinto sarebbe da riconoscersi nell’inventario Borghese delle due residenze romane, redatto in varie fasi tra 1620 e 1630, dove è descritto «Un quadro in […] la Madonna con il figlio e S. Giovannino cornice dorata, alto 1 largo 1, Scarsellino» nella seconda stanza verso l’Uccelliera del casino di Porta Pinciana e «Un quadro con la Madonna, il figliolo s. Giovannino cornice dorata alto 1 largo 1, Scarsellino» nella stanza dove sono gli armadi nel palazzo di Ripetta. Se questa congettura risultasse esatta, vista anche l’attendibilità dell’inventario di Lucrezia d’Este data dalla concomitanza cronologica con la produzione dei due Scarsella, verrebbe meno il terminus ante quem di produzione dell’opera (Novelli 2008, p. 312). Tuttavia, gli elementi stilistico-compositivi già sottolineati dalla tradizione critica otto e novecentesca (Venturi 1893, Longhi 1928, Della Pergola 1955, Novelli 1955), consentono di inserire il dipinto nella produzione di Ippolito tra il 1582 e il 1590.
La piccola tela è un capolavoro della “pittura degli affetti” intesa così come venne codificata dal cardinale Gabriele Paleotti nel suo trattato Discorso intorno alle immagini sacre e profane, edito nel 1582 a Bologna. La Vergine, assisa davanti a un solido tronco, placa e vigila il gioco fanciullesco del piccolo Gesù, seduto sulle sue ginocchia, e di Giovanni Battista, al quale il cugino ha sottratto la croce astile con cui si stava divertendo insieme all’agnellino che tiene tra le braccia. Dietro l’albero, in disparte rispetto alla amorevole quotidianità rappresentata in primo piano, Giuseppe poggia le spalle sullo stesso albero su cui si sorregge Maria mentre legge un libro.
Il paesaggio sullo sfondo è quello di una città fluviale in fiamme, dalla quale provengono fuoco e un intenso fumo nero che mentre sale si confonde con le tenebre appena rischiarate dall’alba. Questa composizione paesaggistica drammatica, che guarda agli scenari infiammati dosseschi come quello dell’Apollo (inv. 1), ricorda nell’utilizzo dell’albero come appoggio per la Vergine l’incisione di Albrecht Dürer nota come Madonna della pera (1511) e rievoca le soluzioni presenti nella pittura veneziana nel colorito profondo coinvolto nella fuga prospettica a sottolineare le figure in primo piano, con particolare riferimento alla produzione di Tiziano e Tintoretto.
La fortuna di questa composizione, ricca di ascendenze nordiche e della tradizione veneta e ferrarese, è attestata da un’incisione di Raphael Sadeler realizzata entro il 1624 dedicata al cardinale Bonifacio Bevilacqua (uno degli esemplari migliori di quest’opera è conservato a Napoli presso il Museo Nazionale di Capodimonte, gabinetto Disegni e Stampe, Collezione Firmian, vol. 65, f. 14) e da tre copie del dipinto, due rintracciate sul mercato antiquario (1957 e 1977) e una conservata presso la Pinacoteca Comunale di Ravenna (Novelli 2008, p. 312).
Lara Scanu