L’opera è attestata negli inventari Borghese a partire dal 1693, sempre con il riferimento a Pomarancio (Cristoforo Roncalli), attribuzione confermata dalla critica anche su base stilistica. Gli elementi aggettanti nella parte inferiore inducono a pensare che il quadro fosse stato concepito per una visione dal basso, sebbene il contesto di esecuzione sia tuttora sconosciuto. Il dipinto, considerato uno dei massimi esempi della produzione dell’artista, è databile ai primi anni del Seicento.
Salvator Rosa cm.181 x 136,5 x 9,5
Il dipinto, di cui si ignora il contesto di esecuzione, fa parte della collezione Borghese almeno dal 1693, come attestato dalla dettagliata descrizione presente nell’inventario di tale anno: “la Madonna, il Bambino e San Giuseppe con un Angelo, che porta la Corona sopra la testa della Vergine con la Cornice dorata ed intagliata con Aquile e Draghi alle Cantonate […] del Pomarancio”. Nei successivi elenchi del 1790 e del 1833 l’opera compare di nuovo con il riferimento rispettivamente a Pomarancio e alla sua scuola.
La coerenza delle notizie inventariali, in accordo con la lettura stilistica, ha portato la critica (Voss 1920, p. 538; Longhi 1928, p. 208; Della Pergola 1959, pp. 46-47; Volpe 1978, pp. 401-402; Chiappini di Sorio 1983, p. 110; Stefani 2000, p. 301; Herrmann Fiore 1992, pp. 25-26; Ead. 2006, p. 109; Leli 2011, pp. 209-210; Pupillo 2011, p. 88) a confermare il nome di Cristoforo Roncalli, detto appunto Pomarancio, come autore dell’opera, attribuzione convalidata anche da Adolfo Venturi il quale in un primo tempo aveva pensato a Niccolò Circignani, artista più giovane con lo stesso pseudonimo (Venturi 1893, p. 164; Id. 1934, p. 799).
L’opera raffigura San Giuseppe e la Vergine che cingono con le mani il Bambino, l’uno nell’atto di incedere e con lo sguardo rivolto verso quest’ultimo, l’altra seduta e orientata in direzione dello spettatore. Lo scorcio dello sgabello su cui Maria poggia i piedi, così come gli altri particolari aggettanti sulla fascia più bassa del dipinto, suggerisce che il quadro fosse stato concepito per essere osservato dal basso. Nella parte superiore, posti lateralmente, si trovano due angeli, l’uno in atto di porgere una corona di fiori sul capo della Vergine, l’altro con il braccio proteso in avanti. Quest’ultimo, forse ispirato alla raffaellesca Liberazione di San Pietro dal carcere (Stanze Vaticane), segna una direttrice su cui si sviluppa diagonalmente l’intera composizione (Stefani, cit.). Sullo sfondo scuro si intravede un edificio di sapore classicheggiante, di cui si distingue una colonna e parte della trabeazione.
L’illuminazione proveniente dall’alto a sinistra e le forme aggettanti in primo piano potrebbero risentire delle contemporanee sperimentazioni di Caravaggio (Michelangelo Merisi), per esempio nella seconda versione del San Matteo e l’angelo, databile al 1602 (Pupillo, cit.). Il fascio di luce che colpisce direttamente i personaggi crea un gioco di forti contrasti luce-ombra sui panneggi degli abiti, accentuando il dinamismo della scena trasmesso soprattutto dalla torsione del corpo del Bambino e dalla posa di San Giuseppe.
Nonostante il soggetto dell’opera sia da sempre identificato come una Sacra Famiglia, alcuni elementi inusuali per tale iconografia hanno spinto gli studiosi a riflettere su una possibile interpretazione del dipinto in chiave narrativa anziché devozionale. Non si spiega, infatti, la presenza dell’edificio classico sullo sfondo, né il ritmo dinamico delle pose e degli sguardi dei personaggi. Alla luce di questi elementi, una plausibile lettura dell’opera è quella riportata da Marco Pupillo (cit.) sulla scorta di un’interpretazione suggeritagli oralmente da Alessandro Zuccari, che identifica il soggetto con un passaggio tratto dal Vangelo di Matteo. Si tratta del momento precedente alla fuga in Egitto (episodio a cui aveva già accennato Chiappini di Sorio, cit.), quando Giuseppe, seguendo le indicazioni dell’angelo che gli è apparso in sogno, prende con sé il Bambino e Maria per condurli in salvo dalla strage degli innocenti ordinata da Erode. La scena è dunque incentrata sui concitati attimi della partenza verso l’Egitto, prefigurata dal bastone in primo piano, nel momento subito successivo al sogno di Giuseppe, a cui rimanda l’ambientazione notturna e l’angelo ancora presente. Secondo questa nuova lettura, anche il ruolo dinamico e preponderante di Giuseppe, più spesso protagonista passivo nelle tradizionali rappresentazioni della Sacra Famiglia, e l’espressione accorata della Vergine, segno di una preoccupazione, acquistano una maggiore coerenza.
La datazione dell’opera, considerata una delle prove qualitativamente più alte del Pomarancio, oscilla tra il biennio 1602-1603 (Schleier 1989, pp. 401-402) e il 1605 (Chiappini di Sorio, cit.). Sono noti due disegni riferibili a questa composizione, oggi conservati rispettivamente a Firenze (Uffizi, inv. 15428 F) e a New York (Metropolitan Museum of Art, inv. 62.120.4).
Pier Ludovico Puddu