Il dipinto raffigura San Francesco d’Assisi in preghiera di fronte al crocifisso, soggetto largamente apprezzato e diffuso nell’ambito della pittura devozionale di età controriformista. La sua attribuzione è stata oggetto del dibattito critico, oscillando tra i nomi di Ludovico Cardi, detto Cigoli, e del più giovane Cristofano Allori, figlio del pittore Alessandro. Entrambi si cimentarono più volte nel soggetto e in particolare Allori guardò con interesse alle numerose interpretazioni del tema eseguite dal più anziano maestro, rimanendone largamente influenzato.
Collezione Scipione Borghese, ante 1621 (Mancini 1617-1621); Inventario 1693, Stanza II, n. 2; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 7, n. 18. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è stato riconosciuto nel “S. Francesco di palmi otto e cinque in tela […] del Bronzino” citato nell’inventario Borghese del 1693. Il riferimento attributivo è a Cristofano Allori, il quale talvolta firmava le sue opere aggiungendo al suo nome l’appellativo di Bronzino, come già aveva fatto il padre Alessandro, allievo e pupillo del celebre maestro Agnolo di Cosimo, detto appunto Bronzino. Paola Della Pergola (1959, II, pp. 22-23, n. 21) ha proposto di identificare il dipinto con il “S. Francesco che sta orando nel deserto con cornice tutta di noce dico tutta d’oro” citato senza attribuzione nell’inventario del cardinale Antonio Maria Salviati del 1612, redatto pochi anni dopo la sua morte. Secondo la ricostruzione della studiosa il quadro sarebbe arrivato in collezione Borghese tra il 1673, data in cui il Silos (p. 125) descrive il dipinto inventariato ancora in casa Salviati, e il 1693, anno in cui compare per la prima volta negli inventari Borghese. Tuttavia, come individuato da Claudio Pizzorusso (1986, p. 187, n. 1.70), già il Mancini ([1617-1621 c.] 1956-1957, I, p. 111) faceva riferimento ad un San Francesco di “Bronzin Giovene […] alla vignia dell’illustrissimo Borghese”, elemento che ne anticiperebbe l’ingresso in collezione tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti del Seicento e che smentirebbe la sua corrispondenza con il dipinto di casa Salviati, ancora nella raccolta nel 1673. Per quanto riguarda la presunta assegnazione dell’opera al Cigoli (Ludovico Cardi), riportata da Della Pergola (cit.), essa compare nell’inventario fidecommissario del 1833, in cui è citato un “San Francesco penitente, del Cingoli [sic], largo palmi 6, oncie 6; alto palmi 9”. Con l’attribuzione a Cardi il dipinto viene successivamente esposto a Palazzo Venezia a Roma (Paesaggio con figura 1985, n. 25) e così catalogato, in tempi più recenti, nel repertorio della Galleria Borghese redatto da Kristina Herrmann Fiore (2006, p. 133). Tuttavia già Anna Matteoli (1980, p. 355), pur accogliendo la provenienza Salviati, riteneva il quadro di mano di Allori, e Claudio Pizzorusso (1982, pp. 47-48; id. 1986, cit.), come detto, ha identificato il quadro con quello citato dal Mancini come opera di “Bronzin Giovene”, accogliendone l’attribuzione. Le affinità stilistiche tra i due pittori toscani, nonché la loro familiarità con il tema del San Francesco, hanno alimentato le riflessioni intorno a questa complessa questione attributiva. Cristofano Allori, di circa vent’anni più giovane del Cigoli, guardò all’esempio di quest’ultimo e si avvicinò alle sue interpretazioni dell’iconografia del santo in preghiera, più volte affrontato (sull’argomento si veda A. Nesi, Un San Francesco in preghiera giovanile di Cristofano Allori, Firenze 2007). Il tema, rispondendo esemplarmente al gusto dell’epoca nell’ambito della pittura devozionale, era largamente richiesto e godeva di ampia diffusione, tanto da essere replicato più volte dai pittori del tempo. La scena riprende la figura di San Francesco d’Assisi in ginocchio e con le mani giunte di fronte al crocifisso. Il personaggio è appoggiato con i gomiti a una roccia su cui compare un libro aperto bordato di rosso. Sullo sfondo il paesaggio è reso con toni scuri e il cielo cupo è attraversato da piccoli bagliori di luce che lasciano intravedere un torrente dalle acque agitate sulla destra della composizione. Rispetto ad altre interpretazioni alloriane del tema, in cui l’espressione del santo appartiene ad una sfera di serena contemplazione del crocifisso, qui predomina un sentimento di intenso patetismo devozionale, accentuato anche dall’effetto drammatico dell’ambientazione. Queste caratteristiche rimandano alla produzione pittorica di Allori intorno al 1610, periodo a cui l’opera è ricondotta (Pizzorusso 1982, cit.; id. 1986, cit.).
Pier Ludovico Puddu