Ricordata nell'inventario del 1693 quale opera autografa di Leonardo, il dipinto potrebbe essere ricondotto alla predilezione di Scipione Borghese per la pittura lombarda. La sant’Agata deriva da un originale di Bernardino Luini ora perduto ma prossimo all'esemplare della collezione Spiridion di Parigi. La fattura e l’esecuzione denunciano influenze leonardesche.
Agata, martire nel 251, mostra l’attributo del suo supplizio, le mammelle che le vennero strappate prima di venire gettata sui carboni ardenti.
Collezione Borghese, citata nell’inv. 1693 (Stanza III, n. 34); Inventario Fidecommessario Borghese 1833 (p. 39). Acquisto dello Stato, 1902.
La tavola rappresenta Sant’Agata: i capelli della martire sono cinti da una corona di gelsomini mentre con una mano mostra l’attributo del suo supplizio, i seni strappati.
Il dipinto viene citato nell’inventario Borghese del 1693 con un improbabile riferimento a Leonardo da Vinci. Adolfo Venturi nota la fattura “debole” del quadro - pur sottolineando la fusione delle tinte - dove “v’è di buono la mano che tiene il bacile” (1893, pp. 201-202), e la considera opera di un artista della scuola di Bernardino Luini. Anche Morelli (1897, p. 166) la riteneva dell’ambito di Luini, secondo Bernard Berenson “il meno intellettuale dei pittori famosi” che ebbe una rivalutazione solo nel XX secolo (Suida). Sia Longhi che Della Pergola sembrano concordare con Venturi e Morelli mentre alla Ottino Della Chiesa (1956, p. 133) sembrava una «copia tarda e diligente, probabilmente del Lomazzo o della sua cerchia, da un prototipo smarrito». Probabilmente si tratta di una versione derivata dall’originale di Luini, oggi perduto ma vicino a quello in collezione Spiridion di Parigi, quest’ultimo di qualità superiore alla tavola Borghese. Potrebbe trattarsi, come sostiene Hermann-Fiore sulla scia degli studi precedenti, di un seguace del maestro lombardo.
Gabriele De Melis