Questo dipinto, eseguito su rame, è attestato in collezione Borghese a partire dal 1693. Variamente attribuito dalla critica, si rifà a un'incisione cinquecentesca di Martin van Heemskerck raffigurante il cosiddetto Sepolchrum Semiramidis, edificio qui riconoscibile con la struttura circolare a tre piani. L'opera, meno ricca di dettagli rispetto alla lastra incisa - inscena lo scontro tra la regina Semiramide e un feroce leone che le sta bloccando l'accesso alla città di Babilonia.
Salvator Rosa (cm 36,3 x 43,5 x 4)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza VI, n. 23); Inventario fine '700, Stanza V, n. 4; Inventario 1790, Stanza III, n. 43; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 27. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo rametto tuttora è ignota. Il dipinto, infatti, è documentato in collezione Borghese a partire dal 1693, descritto nel relativo inventario come "Un quadro alto un palmo e mezzo in circa in rame con paesini e Chiese con Campanili con un teatro tondo con tre altezze con una Regina a cavallo con la Corona in testa che tira una frezza ad un leone del n. 63 segnato dietro la Cornice di Paolo Brilli cornice dorata" (Inv. 1692). Attribuito a Paul Brill e ad Antonio Tempesta (Inv. 1790; Inventario Fidecommissario 1833), fu Adolfo Venturi (1893) a riportarlo nel solco della pittura fiamminga, ambito a cui pervenne per strade diverse anche Federico Zeri (comunicazione orale in Della Pergola 1959). Lo studioso, infatti, accostò il rame alla serie Septem Orbis Miracula, eseguita da Martin van Heemskerck e incisa da Philippe Galle, di cui l'Istituto centrale per la grafica di Roma possiede alcune incisioni.
Seguendo tale pista, nel 1959 Paola della Pergola (Ead. 1959) pubblicò il dipinto come 'maestro fiammingo', nato - secondo la studiosa - da una lastra incisa da Galle, ridotto però nelle decorazioni e privo della data '1572' leggibile nell'incisione originaria sul sepolcro di Semiramide. Tale giudizio, mai discusso dalla critica, è stato accolto da Kristina Hermann Fiore (2006).
Antonio Iommelli