La figura femminile, di ridotte dimensioni, è ritratta in movimento, con la gamba destra flessa in avanti e la sinistra a guidare il passo. Indossa un chitone, la tunica, smanicato e un mantello aderente al corpo. Sul petto e sul collo è adagiata diagonalmente la nebride, la pelle di cerbiatto tipica dei personaggi della cerchia dionisiaca, che ha ispirato il restauro come Menade con l’aggiunta del tirso nella mano destra. Il trattamento del panneggio e la posa dinamica suggeriscono un legame con il tipo iconografico dell’Artemide Colonna, presente nella Galleria Borghese in altre due copie (Inv. XXXIII, LII), mentre la struttura minuta, con spalle strette e gambe slanciate, richiama modelli di II secolo a.C.
La scultura, che conserva di antico il torso, dalle spalle al polpaccio, è inquadrabile nella tarda età adrianea. La testa, antica ma non pertinente, è cronologicamente di poco anteriore. L’eleganza dei tratti e la morbidezza del modellato suggeriscono un’ispirazione a originali della seconda metà del IV secolo a.C.
Restaurata nel 1827 dallo scultore Antonio D’Este, è attestata nel 1833 nella sala VII.
Nella Collezione Borghese, è ricordata nel 1827 nei sotterranei del Palazzo, tra le statue scelte per essere restaurate e inserite nelle sale (Moreno, Sforzini 1987, p. 354); nel 1833 è collocata nella sala VII (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 52, n. 158). Acquisto dello Stato, 1902.
Nell’intensa attività che caratterizza l’allestimento delle sale della Palazzina Borghese, rese spoglie dall’intervento napoleonico, il Ministro Evasio Gozzani in una lettera datata l’11 gennaio del 1927 annuncia al Principe Camillo Borghese alcune delle opere scelte per essere restaurate ed esposte. La Menade, definita “statua di Baccante, minore del vero”, conservata al tempo nei sotterranei della Palazzina, viene affidata allo scultore Antonio D’Este (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, B. 74-57: Moreno, Sforzini 1987, p. 354). Nell’Inventario Fidecommissario Borghese, redatto nel 1833, la statua risulta collocata nella Sala VII, denominata Sala egizia (C., p. 52, n. 158).
La figura, di dimensioni minori del vero, come già detto, conserva di antico il torso, dalle spalle fino al polpaccio. Indossa una tunica senza maniche che lascia scoperti i piedi e le caviglie, fermata all’altezza della vita da una cintura annodata. Sopra la veste è un mantello strettamente aderente al corpo che crea un kolpos, un rimbocco, sul fianco destro. Posta trasversalmente sul petto e sul collo è la nebride, la pelle di cerbiatto, che ha suggerito il restauro quale menade, con l’aggiunta, nella mano destra sollevata, del tirso, l’attributo tipico nei cortei dionisiaci. La donna è raffigurata nell’atto di incedere in avanti, che il Venturi definisce “atto di danza”, con la gamba destra leggermente flessa e avanzata, e la sinistra indietreggiata a fornire lo slancio (1893, p. 43). Il capo, rivolto verso sinistra, sembra interrompere il movimento del corpo partecipato dalla veste. Tale andamento sembra richiamare il tipo iconografico dell’Artemide Colonna, così denominata dall’esemplare di Berlino, proveniente dalla Collezione Colonna, riprodotto nella collezione Borghese in altre due repliche (inv. XXXIII, LII).
Come osservato dal Lippold, le caratteristiche stilistiche del panneggio con pieghe di diverse dimensioni nella veste e nel mantello, e la struttura anatomica con spalle strette, seno minuto e gambe slanciate, richiamano modelli scultorei del tardo periodo ellenistico, dei quali l’esemplare Borghese è da considerare una raffinata replica di fine epoca adrianea (Lippold 1926, p. 16, n. 2763).
La testa, di poco anteriore, non è pertinente e presenta un volto di forma ovale allungata, dai tratti morbidi e delicati che gli conferiscono un aspetto trasognato. La fronte è incorniciata da una pettinatura a ciocche ondulate, cinte da una tenia e scriminate al centro, raccolte nella parte posteriore in uno chignon. Gli occhi, di forma amigdaloide, sono sormontati da arcate sopraccigliari arcuate e regolari. La bocca, dalle labbra piccole, è appena dischiusa.
Gli eleganti tratti fisionomici rievocano modelli iconografici impiegati per le raffigurazioni di divinità e sembrano ispirarsi a originali di tardo IV secolo a.C.
Giulia Ciccarello