La figura muliebre, stante sulla gamba sinistra, indossa un chitone manicato e un mantello, che la avvolge scendendo in fitte pieghe dal braccio sinistro, proteso in avanti con una patera – una coppa usata per i sacrifici - in mano, mentre il braccio destro è piegato davanti al petto. Il tipo statuario ricorda quello ricorrente, a partire dalla metà del V sec. a.C., per la rappresentazione delle divinità Demetra o Kore, e ampiamente adottato a partire dall’età ellenistica per la realizzazione di statue ritratto. La scultura Borghese, stilisticamente inquadrabile in età antonina, venne reimpiegata nel III sec. con funzione onoraria: in tale occasione venne applicata una testa ritratto; è in particolar modo la capigliatura, con morbide ciocche ondulate divise in due bande e ricadenti sul collo e la grossa treccia che si diparte dalla nuca, disposta a ciambella sulla sommità del capo, a suggerire una datazione nell’ultimo quarto del III sec., coeva all'imperatrice Ulpia Severina (270-275).
La scultura, di cui è ignota la provenienza, è descritta per la prima volta nella guida di Antonio Nibby del 1832 nella sala VIII, dove rimase esposta fino alla metà del secolo scorso, quando venne trasferita nella sala V. La figura muliebre è stante sulla gamba sinistra, con la destra leggermente flessa in avanti. Il corpo è coperto da chitone manicato fittamente pieghettato e con himation che avvolge la figura e scende dal braccio sinistro, proteso in avanti con una patera in mano, in fitte pieghe; il braccio destro è piegato davanti al petto. Il tipo statuario ricorda quello di Demetra o Kore attestato a partire dalla metà V sec. a.C. (cfr. tipo Conservatori-Corinto, Beschi 1988, p. 852, n. 53), sebbene il trattamento stilistico suggerisca una rielaborazione di prima età ellenistica. La concezione del ritmo e del tessuto trovano infatti confronto in alcune statue iconiche di Megara (Horn 1931, p. 95, tav. 42) e in una statua iconica di produzione neo-classica da Cirene (Traversari 1960, pp. 32-33 n. 8, tav, I, 3), mentre la tecnica esecutiva, in particolare del plinto, suggeriscono per l’esemplare Borghese una esecuzione in età antoniniana (Blanck 1969).
Nel III sec. d.C. la statua venne reimpiegata con funzione onoraria: in tale occasione – come suggerisce il tassello incrostato posto in corrispondenza della sutura tra la testa e il corpo – venne applicata una testa ritratto databile all’ultimo quarto del III sec. Il volto florido, con forme piene e bocca carnosa, è caratterizzato da palpebre pesanti e sguardo rivolto in basso.
I capelli, morbidamente ondulati, sono divisi in due bande e lasciano scoperte le orecchie, ricadendo sul collo, mentre una grossa treccia che si diparte dalla nuca va a disporsi a ciambella sulla sommità del capo. La moda della treccia condotta dalla nuca fin sulla parte superiore della testa (cd. Scheitelzopf Frisur, letteralmente pettinatura con scriminatura a treccia) si diffuse al tempo delle imperatrici Furia Sabina Tranquillina e Marcia Otacilia Severa, mogli di Gallieno III e Filippo l’Arabo, mentre la versione allungata oltre l’occipite fu particolarmente in voga in età gallienica, come si riscontra nei ritratti di Cornelia Supera e Cornelia Salonina. A partire dalla metà circa del III secolo la treccia si allungò formando un vero e proprio rotolo sulla sommità della testa, come documentano i ritratti monetali di Ulpia Severina, moglie di Aureliano e di Magnia Urbica, moglie di Carino, evolvendosi poi nel corso della seconda metà del III secolo in soluzioni sempre più voluminose, fino a sfociare in una sorta di turbante costituito da una treccia spessa arrotolata sul capo come una benda (Bergman 1977, pp. 182 ss; Buccino 2011, p. 378 ss). Le analogie più stringenti si riscontrano con un ritratto a Palazzo Doria, in cui la voluminosa treccia è associata a capelli leggermente ondulati scriminati in due bande sulla fronte e riccioli sciolti all'attaccatura dei capelli (inv. EA 2316, Calza 1977, p. 304, n. 376). Nel ritratto Borghese possiamo forse ravvisare un ritratto muliebre privato contemporaneo all'imperatrice Ulpia Severina (270-275) della quale viene ripresa la pettinatura, conosciuta peraltro solo attraverso profili monetali (Bergman 1977, p. 185 ss; Varner 2008, pp. 196-197).
Jessica Clementi