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Statua femminile ammantata, variante del tipo della “Grande Ercolanese”

Arte romana


Scultura muliebre iconica, rappresenta una figura ammantata, della quale si conserva soltanto il torso. L’ampio mantello (himation) avvolge il corpo in un mosso panneggio. L’impressione di movimento è suggerita dalla posizione del braccio destro piegato al petto, con la mano che stringe il tessuto, e della gamba opposta leggermente avanzata. Nella mano sinistra reca un mazzetto di spighe.

La scultura è un’opera di età imperiale romana, ma replica il modello ellenistico definito, convenzionalmente, della “Grande Ercolanese”, che prende il nome da una copia rinvenuta nel teatro di Ercolano. La creazione del tipo iconografico originale, noto attraverso numerose repliche e varianti, è riferibile a una cerchia di scultori greci attivi nella seconda metà del IV secolo a.C.


Scheda tecnica

Inventario
XXI
Posizione
Datazione
II secolo d.C.
Tipologia
Materia / Tecnica
marmo lunense
Misure
altezza cm 93
Provenienza

Collezione Borghese. Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 41, n. 7. Acquisto dello Stato, 1902.

Conservazione e Diagnostica
  • 1990-1991 ICR
  • 1997 G.C. Mascetti
  • 2008 Consorzio Capitolino

Scheda

 Collocata nel portico sin dal primo allestimento, la scultura rappresenta una figura femminile ammantata, della quale si conserva soltanto il torso.

La statua muliebre, iconica, replica la cosiddetta “Grande Ercolanese”, un tipo iconografico che prende il nome da una copia rinvenuta, assieme alla “Piccola”, nella frons scenae del teatro di Ercolano (1706-1713). Le due sculture eponime si conservano oggi presso l’Albertinum di Dresda.

Noto da numerose varianti, il modello scultoreo offerto dalla “Grande Ercolanese”, di norma capite velato, gode di ampia fortuna nel mondo romano, soprattutto in epoca imperiale, e viene particolarmente impiegato per statue-ritratto, sia funerarie, sia onorarie, tanto di matrone quanto di imperatrici. Particolarmente apprezzate per l’intonazione classicistica, le immagini della “Grande” e della “Piccola Ercolanese” – rappresentata nella collezione Borghese di antichità dagli esemplari in Sala V, inv. CCXXXXII e in Sala VIII, inv. CCXXXVI – sono elevate ad espressione delle virtù matronali e dei valori morali di onore e pudicizia.

La figura indossa una tunica coperta da un largo mantello (himation), che avvolge il corpo in un mosso panneggio. La ponderazione, il braccio destro piegato al petto, con la mano che stringe il tessuto, e le movenze della gamba opposta leggermente avanzata, che si intravede sotto la veste, suggeriscono l’impressione di movimento. Il braccio sinistro è posto lungo il corpo e nella mano reca un mazzetto di spighe. Il gesto alterno delle braccia genera un andamento differenziato del panneggio tra le spalle, il busto e il ventre, dove si raccoglie in pieghe triangolari che evidenziano lo slancio della gamba sotto il tessuto.

La scultura si caratterizza per l’equilibrio formale e il classicismo nel linguaggio artistico. Tra le numerose attestazioni del tipo, analoga per iconografia e stile è la statua esposta sulla terrazza della stessa Galleria Borghese (inv. CCLVIII). Confrontabile per la ponderazione e la posa delle braccia, del mantello e dell’attributo è anche la scultura mutila collocata nel portico del Museo Torlonia, un esemplare in marmo insulare, restaurato da Bartolomeo Cavaceppi. Tuttavia, la statua Torlonia, che reca fiori di papavero in luogo delle spighe, presenta una maggiore rigidità rispetto all’esemplare Borghese, più vicino per l’andamento delle pieghe del mantello alla cosiddetta Sabina nel tipo della Grande Ercolanese di Villa Adriana. L’uso del trapano, il trattamento della superficie marmorea e la resa del panneggio orientano verso un inquadramento cronologico entro la prima metà del II secondo secolo d.C.

In merito al prototipo tutt’ora discusse restano l’identità, la cronologia e l’officina artistica. Il novero di repliche e varianti attastate ha lasciato immaginare l’attribuzione degli originali a Prassitele o a Lisippo; allo stesso tempo gli studiosi hanno pensato sia alla scuola dei due maestri, sia all’opera di un artista di ambiente peloponnesiaco o microasiatico. Neppure sulla datazione sembra trovarsi accordo, se alcuni considerano plausibile la seconda metà del IV secolo a.C., altri ritengono entrambe dell’inizio del III secolo a.C., altri ancora ipotizzano una cronologia diversificata, con il modello della “Grande” inquadrabile negli anni 335-325 a.C., mentre quello della “Piccola” tra il 330 e il 320 a.C.

Quanto all’identificazione, secondo le ipotesi variamente formulate potrebbe trattarsi della coppia divina di Demetra e Kore, spiegando in tal modo le divergenze nella statura e nell’abbigliamento dei due tipi e gli attributi delle spighe o del papavero, oppure di Muse o Potesse, considerata la ricorrenza delle varianti sui sarcofagi. Di recente si direbbe prevalere l’idea di una creazione artistica indipendente, per cronologia e tipo, concepita per statue-ritratto funerarie o onorarie di sacerdotesse, imperatrici, matrone o eroine (sul tipo si vedano Daehner 2007; Alexandridis 2010, pp. 263–275; Dillon 2010, pp. 82–86; Trimble, 2017, pp. 317–352.). Ad ogni modo, il classicismo formale e stilistico della “Grande” e della “Piccola Ercolanese” sembra esprimere pienamente i valori morali di honosdecor e pudicitia dando ragione della notevole fortuna incontrata da questi modelli nel mondo romano per le statue iconiche di imperatrici, principesse o private di alto rango a partire dal I secolo a.C. fino al III secolo d.C.

L’Inventario del Fidecommesso Borghese del 1833 cita la scultura tra uno dei sei torsi del portico “di vario carattere di cui due paludati” (p. 41, n. 7), mentre Antonio Nibby annota, in particolare, un “Torso di Cerere distinto dalle spighe che tiene nella sinistra: esso è collocato su d’un cippo di Aurelia Teofila, erettole da L. Valerio Ponziano” (Nibby 1841, p. 910).

Clara di Fazio




Bibliografia
  • Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese, Roma 1840, p. 6, n. 18.
  • A. Nibby, Roma nell’anno 1838, Roma 1841, p. 910.
  • Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese, Roma 1854 (1873), p. 7, n. 23.
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 11.
  • G. Giusti, La Galerie Borghèse et la Ville Humbert Premier à Rome, Roma 1904, p. 14.
  • R. Calza, Catalogo del Gabinetto fotografico Nazionale, Galleria Borghese, Collezione degli oggetti antichi, Roma 1957, p. 9, n. 41.
  • P. Moreno, Museo e Galleria Borghese, La collezione archeologica, Roma 1980, p. 7.
  • P. Moreno, S. Staccioli, Le collezioni della Galleria Borghese, Milano 1981, p. 102.
  • P. Moreno, Ch. Stefani, Galleria Borghese, Milano 2000, p. 37, n. 5 (Moreno).
  • P. Moreno, A. Viacava, I marmi antichi della Galleria Borghese. La collezione archeologica di Camillo e Francesco Borghese, Roma 2003, pp. 74-75, n. 19.
  • J. Daehner, The Herculaneum Women. History, Context, Identities, Los Angeles 2007.
  • A. Alexandridis, Neutral Bodies? Female Portrait Statue Types from the Late Republic to the Second Century CE, in Material Culture and Social Identities in the Ancient World, a cura di S. Hales, T. Hodos, Cambridge 2010, pp. 252–279, in part. pp. 263–275.
  • S. Dillon, The Female Portrait Statue in the Greek World, New York 2010, pp. 82–86.
  • J. Trimble, Framing and Social Identity in Roman Portrait Statues, in The Frame in Classical Art. A Cultural History, a cura di V. Platt, M. Squire, Cambridge 2017, pp. 317–352.
  • Scheda di catalogo 12/ 01008288, P. Moreno 1975; aggiornamento G. Ciccarello 2021