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Statuetta di Attis

Arte romana


La statua, di dimensioni ridotte, raffigura Attis, il giovane pastore frigio amato dalla dea Cibele la cui storia è narrata da Ovidio. La figura, stante sulla gamba destra e con la sinistra incrociata in avanti, indossa abiti di foggia orientale: il pileo, il berretto frigio e gli anaxirides, i larghi pantaloni.

La scultura, ricordata nella sala VIII della Palazzina Borghese nel 1650 come “pastore frigio”, è da iscrivere al II secolo d.C.


Scheda tecnica

Inventario
LIX
Posizione
Datazione
II secolo d.C.
Tipologia
Materia / Tecnica
marmo frigio
Misure
altezza cm 82
Provenienza

Collezione Borghese, ricordato nel 1650 dal Manilli nella sala VIII (p. 87); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 45, n. 52. Acquisto dello Stato, 1902.

Conservazione e Diagnostica
  • 1996-97 - Liana Persichelli

Scheda

 

Nei boschi un ragazzo frigio di aspetto bellissimo, Attis, legò a sé la dea turrita di un amore casto. Lei volle conservarselo e che sorvegliasse il suo tempio, e disse: ‘Fa’ in modo di restare sempre ragazzo’. Lui le promise obbedienza e disse: ‘Se mento, l’amore per cui ti tradisco sia il mio ultimo’.

Ovidio, Fasti IV, 223-228.

Il Manilli, nel 1650, menziona nella stanza di Saturno, attuale sala VIII, la statuetta di “un Pastor Frigio, di trè palmi d’altezza, posta su una colonna di pietra nera di dieci palmi”, a pendant di una statuetta di Ercole collocata su una colonna simile (p. 87). Successivamente viene ricordata dal Montelatici nel 1700 nella stessa collocazione - individuata dall’autore come la camera del Sileno, la prima dell’appartamento a Tramontana - interpretata come “un Pastore, forse Paride, in habito frigio, col volto appoggiato sul gombito” (p. 208). Il Nibby nel 1841 la indica, tra le statue presenti nella sala I come “Statuetta di Paride” (p. 914). La Calza la descrive “con consueto costume barbarico e il berretto frigio sul capo” (1957, p. 12, n. 102). Nella sua attuale collocazione, la sala VII, si ritrova menzionato nel catalogo della collezione archeologica redatto dal Moreno nel 2003 (p. 244, n. 234).

La scultura raffigura, in dimensioni ridotte, un giovane identificato con Attis, divinità originaria della Frigia, venerata insieme con la grande madre degli dei, Cibele. La figura è rappresentata stante, con il braccio sinistro piegato orizzontalmente a sostegno del gomito destro. La gamba sinistra è piegata su quella destra sulla quale si dispone il peso del corpo. Indossa una tunica manicata che giunge alle ginocchia e un lungo mantello che copre le spalle e arriva ad posarsi sul suolo; sulle gambe sono gli anaxirides, i tipici pantaloni larghi orientali. Sul capo è presente il pileo, il berretto frigio di foggia conica, provvisto di due falde che si adagiano sulle spalle. Al disotto del copricapo fuoriesce una capigliatura a folti riccioli corti, che incorniciano il volto, arrivando a coprire le orecchie. L’ovale del viso presenta tratti fisiognomici giovani con gote piene e piccole labbra dischiuse dal sorriso appena accennato.

Ovidio nei Fasti racconta che Cibele, della quale il giovane era paredro, invaghitasi di casto amore, gli abbia chiesto di rimanere per sempre puer, puro, e di essere suo sacerdote, ricevendone un giuramento appassionato. Il giovane però fu travolto dall’amore per la ninfa Sagaritide e Cibele, rabbiosa di vendetta, ferì l’albero uccidendo la ninfa che lo abitava. Attis, reso folle dalla consapevolezza della sua colpa, si punisce negando la propria virilità e in preda a furor si evira con un sasso aguzzo (Ovidio, Fasti IV, 223-244).

La Kalveram, che identifica la scultura Borghese come Paride, attribuisce a un intervento di restauro la testa, l'avambraccio destro, parte dell'avambraccio sinistro, la maggior parte delle gambe, la parte inferiore della veste che scende lungo la schiena e il plinto (1995, p. 219, n. 108).

Il tipo iconografico trova confronto con una statuina di Attis, raffigurata nella medesima posizione e con lo stesso abbigliamento, rinvenuta nell’atrio dell’edificio VI 14, 37 noto come “officina lignaria” a Pompei e conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. 120425: Ward-Perkins, Claridge 1976, n. 127).

L’opera è da inquadrare nel II secolo d.C.

Giulia Ciccarello




Bibliografia
  • I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1650, p. 87.
  • D. Montelatici, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana con l’ornamenti che si osservano nel di lei Palazzo, Roma 1700, p. 208.
  • Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese, Roma 1840, p. 11, n. 18.
  • A. Nibby, Roma nell’anno 1838, Roma 1841, p. 914, n. 18.
  • Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese”, Roma 1854 (1873), p. 13, n. 17.
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 20.
  • G. Giusti, The Borghese Gallery and the Villa Umberto I in Rome, Città di Castello, p. 31.
  • P. Della Pergola, La Galleria Borghese in Roma, (3° Edizione), Roma 1954, p. 22.
  • R. Calza, Catalogo del Gabinetto fotografico Nazionale, Galleria Borghese, Collezione degli oggetti antichi, Roma 1957, p. 12, n. 102.
  • J.B. Ward-Perkins, A. Claridge, Pompeii AD 79. Catalogue of exhibition held at the Royal Academy of Arts, London 1976.
  • P. Moreno, Museo e Galleria Borghese, La collezione archeologica, Roma 1980, p. 20.
  • P. Moreno, S. Staccioli, Le collezioni della Galleria Borghese, Milano 1981, p. 101, fig. a p. 88.
  • K. Kalveram, Die Antikensammlung des Kardinals Scipione Borghese, in “Römische Studien der Bibliotheca Hertziana”, 11, Worm am Rehin, 1995, p. 219, n. 108.
  • P. Moreno, C. Stefani, Galleria Borghese, Milano 2000, p. 181, n. 14.
  • P. Moreno, A. Viacava, I marmi antichi della Galleria Borghese. La collezione archeologica di Camillo e Francesco Borghese, Roma 2003, p. 244, n. 234.
  • Schede di catalogo 12/99000415, G. Ciccarello 2020.