La scultura, ricordata nel 1828 in una epistola del Ministro Giuseppe Gozzani al Principe Camillo tra le opere commissionate allo scultore Antonio D’este per essere restaurate, è esposta già nel 1832 nella sala VIII, sua attuale collocazione. Raffigura un uomo in età avanzata inquadrabile nel tipo iconografico del cosiddetto Pseudo Seneca. Tale modello, derivante da un originale di epoca ellenistica, è testimoniato da numerose repliche note e ritrae probabilmente un filosofo o un letterato particolarmente conosciuto e apprezzato nella società romana. La copia Borghese, che presenta un stato di conservazione alterato, si può far risalire al I secolo d.C.
Collezione Borghese, ricordato nel 1828 tra le opere affidate ad Antonio D’este per il restauro (Moreno Sforzini 1987, p. 360); compare nella Villa nella VI camera - attuale sala VIII - nel 1832 (Nibby, p. 134). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 54, n. 188. Acquisto dello Stato, 1902.
Il busto, dalla superficie particolarmente abrasa, raffigura un uomo in età avanzata con la testa volta verso l’alto a destra. I capelli sono composti da lunghe ciocche irregolari, alcune delle quali, due in particolare a forma di S, arrivano a coprire la fronte e nella parte inferiore si uniscono alla barba che ricopre le guance e il mento con corti ciuffi disordinati. Il volto, dalle guance scavate, gli occhi piccoli provvisti di occhiaie gonfie e orbite oculari incavate, esprime una patetica sofferenza. Due solchi profondi discendono dalle narici obliquamente verso il basso, congiungendosi con i folti baffi che ricoprono il labbro superiore della bocca leggermente dischiusa. Il collo, attraversato da profonde rughe e con pelle cadente, mostra evidenti segni dell’età. La scultura conserva di antico la testa con il collo e parte del petto, poggiati su un busto moderno provvisto di panneggio. È da considerare una delle numerose repliche note di un ritratto di epoca ellenistica. Il Briegler nel 1966 affronta il problema dell’identificazione del ritratto originale, che ritiene di bronzo e inquadra nell’ultimo trentennio del III secolo a.C. L’autore, osservando il particolare realismo accentuato, individua una relazione con le raffigurazioni di genere della scuola alessandrina (pp. 531-533). La Richter ritiene le copie derivanti da uno schema iconografico comune ripetuto in maniera fedele e lega al barocco ellenistico del II secolo a.C. il modello originale (1965, pp. 58-66). Gli studi che si sono concentrati sul ritratto, definito convenzionalmente dello Pseudo-Seneca, ne hanno fornito diverse interpretazioni, legate per lo più alla figura di un filosofo o di un letterato. Quest’ultima ipotesi risulterebbe avvalorata dalla presenza di una corona vegetale nell’esemplare conservato nel Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo (Felletti Maj 1953, p. 22, n. 23). Benché non si sia giunti ad un’identificazione puntuale, si può certamente dedurre che si trattasse di un personaggio molto conosciuto e apprezzato nella cultura romana.
La scultura Borghese compare una missiva del Ministro Giuseppe Gozzani al Principe Camillo Borghese del 1828 tra le opere affidate allo scultore Antonio D’este per essere restaurate e collocate nelle sale rese spolie dall’intervento napoleonico (Moreno Sforzini 1987, p. 360). Nel 1832 è citata dal Nibby nella VI camera - l’attuale sala VIII - come “busto con pallio, scolpito in marmo pentelico, falsamente creduto Seneca” (p. 134). Il Venturi lo menziona, nel 1893, nella stessa collocazione, come “Busto di Fileta (già supposto Seneca)” (p. 48).
La replica presenta una fine esecuzione, non completamente apprezzabile dallo stato di conservazione, che induce a inquadrare la realizzazione al I secolo d.C.
Giulia Ciccarello