L’opera proviene dalla ricca quadreria di Olimpia Aldobrandini. Raffigura la storia veterotestamentaria di Tobiolo che, partito per riscuotere un credito su ordine del padre, fu guidato dall’arcangelo Raffaele. Il ragazzo, elegantemente abbigliato, è qui ritratto insieme al suo celeste accompagnatore, con al fianco un cane, simbolo di fedeltà, mentre esibisce un grosso pesce, il cui fiele fu usato dal giovane per curare la cecità dell’anziano genitore. Questo soggetto, particolarmente in voga nel Rinascimento, ebbe larga fortuna tra i pellegrini, interpretato come una sorta di talismano conto i rischi del viaggio.
Cornice cinquecentesca con arabesche in fondo scuro (cm 94 x 72,5 x 6,4)
Roma, collezione Olimpia Aldobrandini, 1682 (Inventario Aldobrandini 1682; Della Pergola 1955); Inventario 1693, Stanza II, n. 56; Inventario 1790, Stanza I, n. 4; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 40. Acquisto dello Stato, 1902.
L'opera proviene dall'eredità di Olimpia Aldobrandini, così descritta nell'inventario del 1682: "Un quadro in Tavola con Tobia e l'Angelo alto p[al]mi tre e tre quarti con cornice dorata di filippo Fiorentino [...]" (Inv. 1682). Confusa nei documenti borghesiani con il dipinto con analogo soggetto di Raffaellino da Reggio (Inv. 1693; Inventario Fidecommissario 1833), la tavola fu debitamente elencata nel 1891 da Giovanni Piancastelli (Id. 1891), catalogata dallo studioso come 'Scuola fiorentina'. Variamente avvicinata all'ambito di Andrea del Sarto (Venturi 1893), del Bronzino (Voss 1920) e del Pontormo (Berenson 1938), fu da Roberto Longhi (1928) attribuita al pittore fiorentino Pier Francesco Foschi - in passato chiamato Toschi (Sanminiatelli 1957) - parere condiviso dai suoi colleghi (Della Pergola 1959) e da tutta la critica successiva (cfr. Coliva 1994; Stefani 2000; Hermann Fiore 2006; Trastulli 2010). Muovendosi nel solco tracciato da Longhi, nel 1957 Pouncey (Id. 1957) mise in rapporto la silhouette di Tobiolo con una figura simile ma speculare visibile in un disegno con Crocifissione e santi (Oxford, Ashmolean Museum) datato 1545; mentre nel 1968 Parronchi (Id. 1968) riconobbe lo stesso personaggio in una Incredulità di San Tommaso sempre del Foschi (Firenze, coll. privata).
Per quanto concerne la datazione, secondo Roberto Longhi (Id. 1959) il dipinto fu eseguito intorno al 1545, ipotesi accettata unanimemente dagli studiosi (Della Pergola 1959; Hermann Fiore 2006; Trastulli 2010) che al contempo hanno colto nella composizione alcune aperture del pittore nei confronti della pittura fiamminga e dello stile del Bachiacca (Pinelli 1997; Trastulli 2010). Come recentemente notato da Federico Trastulli (Id. 2010), qui l'artista gioca con le cromie della tavolozza, alternando tinte scure a colori chiari, un espediente utile a dilatare i volumi e a far risaltare le figure.
Versioni analoghe a questo dipinto si conservano alla Galleria Pitti di Firenze (inv. 292), alla Corsini (Firenze, inv. 113) e alla Public Library di New York.
Antonio Iommelli