L’opera ricorda quella di analogo soggetto dipinta da Antonio Tempesta, anch’essa presente nella Galleria Borghese (inv. 207). Questa Caccia, facente parte della collezione Borghese almeno dalla fine del XVII secolo e tradizionalmente considerata come pendant dell’altra, è però caratterizzata da uno stile pittorico più grossolano e impacciato che impedisce di attribuirne la paternità all’artista fiorentino, al cui ambito resta tuttavia riconducibile.
Salvator Rosa (cm. 43,5 x 56 x 4,8)
Roma, collezione Borghese; Inventario, 1693, StanzaVI, n. 21; Inventario, 1790, Stanza III, n. 48; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 26, n. 6. Acquisto dello Stato, 1902.
Su uno sfondo di paesaggio collinare con una piccola città turrita si svolge una caccia in cui sono coinvolti vari animali. In primo piano sulla destra tre cani stanno braccando un lupo mentre un uomo a cavallo, vestito di rosso, sta per infilzarlo con la lancia che tiene nella mano destra. Sulla sinistra altri due cacciatori a cavallo, assistiti da tre segugi, sono all’inseguimento di un cervo e in procinto di colpirlo. In secondo piano al centro, sotto alcuni alberi con ampie fronde, due cinghiali sono accerchiati da un gruppo di cacciatori a piedi e a cavallo, quasi tutti armati di lance o spade e accompagnati da altri cani.
Il dipinto è descritto nell’inventario Borghese del 1693 come “Tavola con caccia e Homini a cavallo e animali del n. 261. Cornice dorata del Tempesta”. Il numero 261 di cui all’inventario era ancora ben visibile in basso a destra alcuni decenni fa, il che non lascia dubbi sull’identificazione dell’opera, di cui anche il supporto combacia con la descrizione inventariale. L’attribuzione al Tempesta torna nei successivi inventari, nelle schede del Piancastelli (1891) ed è pure accolta da Roberto Longhi (1928). Nonostante l’artista abbia lavorato a lungo per i Borghese, in questo caso non è tuttavia possibile assegnargli la paternità della tavola per ragioni stilistiche, essendo la stessa caratterizzata da uno stile pittorico più grossolano rispetto alle opere note del fiorentino. A tale proposito, Paola Della Pergola (1959) fa giustamente notare come questa Caccia, che sembrerebbe un pendant dell’altra (inv. 207), per la diversità tecnica e stilistica sia piuttosto riconducibile alla bottega dell’artista. Se ne può dunque proporre una datazione al terzo o quarto decennio del Seicento.
Pier Ludovico Puddu