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Venere e Amore

Maniera di Naldini Giovan Battista

(Fiesole 1537 - Firenze 1591)

Il soggetto di quest’opera, attestata in collezione Borghese dalla fine del Seicento, è di ispirazione classica. Raffigura Venere, sdraiata su un morbido giaciglio, mentre offre un frutto al piccolo Cupido, le cui ali si intonano con le sue gote, con il pomo offerto dalla divinità e con il mantello su cui poggia la dea. Variando la densità dei colori e giocando sapientemente con l'uso della luce e delle diagonali, l’ignoto artista, vicino ai modi di Giovambattista Naldini, conferisce ordine e naturalezza all’immagine che acquista un’inusuale raffinatezza.


Scheda tecnica

Inventario
206
Posizione
Datazione
1590 ca.
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 55 x 46
Cornice

Fine ‘800/ inizio ‘900 (cm 55,3 x 65 x 4,5)

Provenienza

Roma, collezione Borghese 1693 (Inventario 1693, Stanza VI, n. 26; Della Pergola 1959); Inventario 1790, Stanza VI, n. 15; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 26. Acquisto dello Stato, 1902.

Conservazione e Diagnostica
  • 1953 - Mauro Manca (pulitura);
  • 2000 - Enea (indagini diagnostiche)

Scheda

La provenienza di questo dipinto è tuttora sconosciuta. L'opera, infatti, identificabile a partire dal 1693, fu elencata nell'inventario dei beni di casa Borghese con il numero '545' - cifra tuttora visibile in basso a destra - descritta in tale occasione come 'un quadro di due palmi in c[irc]a bislongo in tela con una Donna nuda colca un panno giallo che porge un pomo ad un amorino [...] con cornice piccola dorata del Cavalier d'Arpino' (Inv. 1693).

La generosa attribuzione al pittore arpinate, rivista nel 1790 in favore dello Scarsellino, fu scartata sia dall'estensore del Fidecommisso (1833), sia da Giovanni Piancastelli (1891). In particolare, quest'ultimo assegnò il dipinto al Pomarancio dopo che nel 1842 Ernst Z. Platner aveva nuovamente riesumato il nome di Giuseppe Cesari.

Nel 1893, nonostante le evidenze stilistiche, Adolfo Venturi, seguito da Giulio Cantalamessa, riportò la teletta nell'orbita dello Scarsellino, pista scartata da Roberto Longhi (1928) che per primo pensò a ' un manierista fiorentino, in vicinanza del Morandini e del Naldini'. Tale parere, ripreso da Paola della Pergola (1959) e, negli anni passati, da Kristina Herrmann Fiore (2006) resta al momento il suggerimento più valido nel cercare una soluzione al problema attributivo.

Antonio Iommelli




Bibliografia
  • E. Z. Platner, Beschreibung der Stadt Rom, III-1, Stuttgart-Tübingen 1842, p. 292;
  • G. Piancastelli, Catalogo dei quadri della Galleria Borghese, in Archivio Galleria Borghese, 1891, p. 248;
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 125;
  • R. Longhi, Precisioni nelle Gallerie Italiane, I, La R. Galleria Borghese, Roma 1928, p. 197;
  • P. della Pergola, La Galleria Borghese. I Dipinti, II, Roma 1959, p. 41, n. 56;
  • K. Herrmann Fiore, Galleria Borghese Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, San Giuliano Milanese 2006, p. 71.