Questo alabastro, insieme alla Visione di sant'Agostino (inv. 477), è attestato in collezione Borghese sin dalla fine del XVII secolo, tradizionalmente riferito dalla critica al pittore marchigiano Federico Zuccari ma di recente avvicinato a Jacques Stella e a Siegmund Laire.
Raffigura sant'Antonio abate, eremita di origini orientali, qui disteso su un giaciglio di pietra mentre viene tentato dalla visione di una donna, sapientemente rappresentata tra le vene naturali del supporto.
Cornice fine ‘700/’800 (parte di un polittico; cm 81 x 26 x 4,3)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza XI, n. 82; Della Pergola 1959); Inventario 1790, Stanza VII, nn. 14, 24; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 29. Acquisto dello Stato, 1902.
Questa pittura, pendant per tecnica, dimensione e soggetto alla Visione di sant'Agostino (inv. 477), è attestata per la prima volta in collezione Borghese nel 1693, così descritta nel relativo inventario: "due quadrucci in Pietro con cornice e frontespitio con rame o argento uno con la Trinità e l'altro con un frate colco depinto sulla pietra. Incerto del n..." (Inv. 1693). Assegnata genericamente nel 1790 allo 'Zuccari' (Inv. 790) - nome precisato con quello di Federico solo nel 1893 (Venturi 1893) - tale attribuzione fu messa in dubbio da Roberto Longhi (1928) che, seguito da Paola della Pergola (1959), parlò di anonimo romano della seconda metà del XVI secolo, parere ripreso senza alcuna riserva dalla critica successiva (Staccoli 1971; Stefano 2000).
Nel 2006, nel catalogo per immagini della Galleria Borghese, Kristina Herrmann Fiore ha attribuito la coppia di alabastri all'artista francese Jacques Stella, assegnazione che sembra non aver trovato conferma né nel catalogo della mostra dedicata al pittore nel 2006-2007; né nella monografia data alle stampe nel 2006 da Jacques Thuillier. Secondo chi scrive (Iommelli 2022), il dipinto è da avvicinare a un pittore ancora legato al mondo tardomanierista, attivo a Roma a cavallo tra la fine del XVI e i primi anni del XVII secolo, dove ebbe modo di familiarizzare con i modelli figurativi del Cavalier d'Arpino. Si potrebbe trattare di Siegmund Laire, artista bavarese, giunto a Roma intorno al 1585, ricordato da Giovanni Baglione (1642) per le sue composizioni su pietra formate "[...] con una maniera che riempiva gl'animi d'estrema meraviglia". In stretto contatto con i Gesuiti, l'artista produsse numerose composizioni di piccolo formato raffiguranti i santi più venerati della comunità cristiana.
Antonio Iommelli