Il dipinto, forse appartenuto al Cavalier d'Arpino, rappresenta l'incontro tra la vergine Maria e sua cugina Elisabetta, entrambe incinte rispettivamente di Gesù e di Giovanni Battista. L'opera, una copia di buona qualità della Visitazione dipinta da Sebastiano del Piombo per Filippo Sergardi, è stata attribuita al pittore senese Vincenzo Tamagni, nome attualmente non condiviso da tutta la critica.
Salvator Rosa (cm 178 x 198,5 x 7)
Roma, collezione Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino, 1607 (Inventario 1607, n. 81; Della Pergola 1959); Roma, collezione Scipione Borghese, 1607; Inventario 1693, Stanza I, n. 33; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 39. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto proviene probabilmente dalla ricca quadreria del Cavalier d'Arpino, accusato nel 1607 dai fiscali di Paolo V di detenzione illegale di armi da fuoco. Come è noto, infatti, in tale occasione, l'artista fu costretto a cedere un centinaio di opere alla Camera Apostolica, tra cui "un quadro della Visitazione di Santa Elisabetta senza cornici grande", indentificato dalla critica (Della Pergola 1959; Hermann Fiore 2010) con la tela in esame.
L'opera, attribuita nell'inventario del 1693 al Pomarancio, fu debitamente avvicinata da Adolfo Venturi (1893) alla scuola di Sebastiano del Piombo, parere accolto - seppur con qualche riserva - da Roberto Longhi (1928) ma respinto da Paola della Pergola (Ead. 1959) che dal canto suo optò per Vincenzo Tamagni, artista senese, allievo del Sodoma e attivo a Roma con la bottega di Raffaello. Secondo la studiosa, infatti, il pittore avrebbe eseguito la tela Borghese entro il 1530 - anno della sua morte - ipotesi che però stride con la cronologia fissata da Longhi al 1533-38 (Longhi 1928). Inoltre, anche il riferimento al Tamagni, espresso da Della Pergola e ribadito da Kristina Herrmann Fiore (2006), non ha convinto tutta la critica: l'opera, infatti, è assente nella monografia dedicata da Rossana Castrovinci (2017) all'artista senese.
Se diversi problemi persistono tuttora sull'autografia della tela, al contrario non c'è alcun dubbio che l'opera replichi la Visitazione eseguita da Sebastiano del Piombo per Filippo Sergardi, un olio su muro realizzato nella chiesa romana di S. Maria della Pace (Hirst 1965; per un parere diverso cfr. Della Pergola 1959), di cui rimangono solo alcuni frammenti (Alnwick Castle, coll. duca di Nothumberland; cfr. Lucco 1980). Come noto, infatti, il murale fu distrutto durante i lavori intrapresi da Gaspare Rivaldi tra il 1611 e il 1614, facendo perdere le sue tracce fino al 1841, quando tre frammenti comparvero nella collezione del cardinale Fesch, finendo - in seguito ad un'asta del 1845 - su suolo inglese e da lì in collezione del duca di Northumberland. A restituirci l'aspetto integrale della Visitazione prima della sua distruzione è proprio la versione Borghese, differente però da un'incisione di Hieronimus Cock sia nel paesaggio, sia nella figura di destra (un bimbo con un cane nell'esemplare Borghese, una donna nell'opera di Cock). Secondo Michael Hirst (1980), uno dei più noti studiosi di Sebastiano del Piombo, tale discrepanza ha una sua ragione: mentre la replica Borghese riprodurrebbe esattamente il dipinto del veneziano, Cock realizzò il suo rame partendo da un disegno preparatorio.
Come suggerito dalla critica (Salvini 1959; Hirts 1965; Lucco 1980), la copia Borghese va datata oltre la metà del XVI secolo, analogamente all'esecuzione della pittura di Sebastiano in S. Maria della Pace.
Antonio Iommelli