Il dipinto, attribuito dalla critica al pittore Domenico Cresti detto il Passignano, è attestato in collezione Borghese a partire dal 1693 e rappresenta il momento dell'annuncio dato dall'arcangelo Gabriele a Maria che, colta in un momento di preghiera, viene visitata dal divino messaggero. Assistono alla scena, in una nube di luce, Dio, la colomba dello Spirito Santo e una schiera di angeli, tra i quali si riconoscono tre cherubini.
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza IX, n. 21); Inventario 1790, Stanza II, n. 45; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 28. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è segnalato per la prima volta in collezione Borghese nell'inventario del 1693, descritto dall'estensore del documento come "un quadretto alto un palmo e mezzo in circa in tavola (sic!) con la Nuntiata e il P[ad]re Eterno con la cornice dorata del Martiniani". Riferito nell'inventario del 1790 a Federico Barocci - nome accolto sia dal compilatore degli elenchi fedecommissari (1833), sia da Giovanni Piancastelli (1891) - il quadro fu avvicinato da Adolfo Venturi (1893) alla maniera di Raffaello Vanni, artista senese, figlio del noto pittore Francesco. Rifiutando tale proposta e d'accordo con Roberto Longhi (1928) e Italo Faldi, che nel 1956 leggeva in questa Annunciazione i caratteri tipici della maniera toscana tardo-cinquecentesca riformata sugli esempi di Santi di Tito e Federico Zuccari, nel 1959 Paola della Pergola assegnò l'opera a Domenico Cresti detto il Passignano, attribuzione accettata nei decenni successivi da tutta la critica (Petrioli Tofani 1980; Prosperi Valenti Rodinò 1984; Laureati 1990), ad eccezione di Joan Lee Nissman (1979).
Il rame rappresenta il momento dell'annuncio dato dall'arcangelo Gabriele a Maria che, colta in un momento di preghiera, viene visitata dal divino messaggero, assistito dall'alto da Dio e dalla colomba dello Spirito Santo. Assiste alla scena una schiera di angeli, tra i quali si riconoscono tre cherubini. L'esecuzione di quest'opera, realizzata secondo Longhi (1928) intorno al 1595 "sotto l'impero dello stile strettamente controriformistico romano", è stata posticipata da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò (1984) al 1602-1603 circa, dipinta secondo la studiosa parallelamente alle altre due tele Borghese: Cristo nel sepolcro (inv. 349) e il Martirio di san Sebastiano (inv. 341).
Una versione simile ma molto più grande, ricordata da Faldi (1956), si conserva presso la collezione di Cassa Depositi e Prestiti di Roma, tagliata - a differenza del dipinto Borghese - all'altezza della prima testina del cherubino a destra.
Antonio Iommelli