La tavola, documentata in collezione Borghese a partire dal 1833, è stata assegnata dalla critica al catalogo del pittore meneghino Giovanni Antonio Boltraffio, artista attivo insieme a Marco d'Oggiono e a Gian Giacomo Caprotti il Salaì, nella bottega milanese di Leonardo da Vinci. Raffigura una donna, ritratta di tre quarti contro uno sfondo scuro, agghindata con una preziosa collana di perle, probabilmente un'allusione alla sua castità.
In basso, poco visibile, si intravede una lontra. Emersa in seguito ad un restauro novecentesco, la sua presenza ha fatto pensare a una derivazione del dipinto Borghese dalla Dama con l'ermellino del maestro Leonardo.
Cornice Salvator Rosa (cm 46,5 x 39)
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 39; Della Pergola 1955). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. La tavola, infatti, è identificabile nei documenti borghesiani solo a partire dal 1833, descritta nei relativi elenchi fidecommissari come 'un ritratto di dama alla maniera di Leonardo' (Inventario Fidecommissario 1833).
Il primo a dare una paternità al quadro fu Adolfo Venturi (1893) che, seppur tra molti dubbi, propose il nome di Ambrogio de Predis. Tale attribuzione fu scartata poco dopo dal Frizzoni (1897; cfr. Taglialagamba 2019), il cui parere a favore del pittore milanese Giovanni Antonio Boltraffio, accettato dal Caroti (1899; cfr. Taglialagamba 2019) e senza alcuna riserva dal Suida (1929), fu però rigettato sia da Bernard Berenson (1932), sia da Roberto Longhi (1928), i quali preferirono parlare di maestro lombardo.
Muovendosi nel solco scavato dal Frizzoni, Paola della Pergola (Ead. 1955) riesumò l'attribuzione al Boltraffio, pista confermata da tutta la critica successiva (Vezzosi 1983-84; Chirico de Biasi 1987; Fiorio 1998; Ead. 2000) e di recente da Kristina Hermann Fiore (Ead. 2006) e da Sara Taglialagamba (Ead. 2019).
Il dipinto raffigura una misteriosa donna, accostato debitamente da Paola della Pergola (Ead. 1955) alla Dama con l'ermellino di Leonardo da Vinci, da cui l'autore riprese non solo l'idea dello sfondo scuro e il leggero taglio di tre quarti, bensì l'espediente di raffigurare il soggetto in compagnia di un animaletto, dettaglio riemerso in seguito a una pulitura iniziata nel 1946 da Carlo Matteucci. Inoltre, al pari del dipinto leonardesco, la tavola Borghese ritrae l'effigiata con una preziosa collana, con tutta probabilità volta a sottolineare, assieme alla lontra, le virtù della donna.
Come suggerito da Maria Teresa Fiorio (1998; Ead. 2000), il dipinto è da collocare cronologicamente agli anni novanta del Quattrocento, ipotesi avvalorata dall'acconciatura della nobildonna, in voga in Italia e in Spagna nell'ultimo quarto del XV secolo. La coazia - anche conosciuta come treccia alla catalana - è infatti la stessa pettinatura esibita da altre potenti e famose nobildonne dell'epoca, come Isabella d'Aragona, Beatrice d'Este e Cecilia Gallerani, quest'ultima immortalata da Leonardo nel famoso ritratto di Cracovia.
Antonio Iommelli